mercoledì 21 ottobre 2015
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Caro direttore,
rivolgo anche a lei, in maniera esplicita, una domanda posta a molti, ma alla quale nessuno ha mai risposto: esule o profugo è quella persona che per sfuggire a persecuzioni e/o a situazioni di pericolo per eventi bellici, lascia il suo Paese. Ritengo che tale scelta sia giusta anzi, in talune circostanze, anche doverosa. Una volta che i profughi lasciano il loro Paese, lasciano anche i motivi per i quali sono partiti: al di qua del confine, nessuno li perseguita più ed il teatro di guerra non gli corre certo dietro; pertanto, fermo restando che sono profughi, non ci sono motivi di effettuare ulteriori spostamenti, che renderebbero più complicato anche il rientro in patria,  quando nella stessa, la situazione si fosse normalizzata. Ricordo che questa mia impostazione della problematica, è condivisa dalla quasi totalità dei profughi, che nel mondo sono circa 70 milioni persone. C’è invece circa un 2% di profughi che evidentemente ha buone possibilità economiche, che ritiene che l’esser profugo gli dia il diritto di andare a tutti i costi (anche a costo della morte propria e dei propri figli) dove per lui è più vantaggioso. In questo pensiero (qui sta la domanda), non trova un egoistico sfruttamento a proprio vantaggio della situazione di partenza, e dato che la prosecuzione del viaggio, non è dovuta a situazioni di pericolo (anzi ne può trovare di altro tipo) che sia evidente che la motivazione non sia altro che quella economica, e che pertanto non ha senso e non è giusto che chi sceglie questa opzione, abbia dei privilegi rispetto ai normali migranti economici? Ricordando come il silenzio sia la più esaustiva delle risposte, distintamente la saluto.
Romolo Rubini
Si figuri se mi zittisco davanti alla questione che lei solleva, gentile signor Rubini! Il suo ragionamento si riduce in sintesi a questa affermazione: un profugo di guerra o un perseguitato politico e/o religioso nel momento stesso in cui varca il confine del proprio Paese d’origine e si ritrova un luogo di prima accoglienza non è più “vittima”, perché a quel punto ha già trovato scampo. Dunque, se decidesse di spostarsi ulteriormente, andrebbe considerato un “migrante economico” come tutti gli altri. La conclusione di un ragionamento così impostato è che bisogna far sì che le persone in fuga si fermino appena oltre il confine del proprio Paese di origine. E a sostegno di questa tesi lei sottolinea che ciò, in effetti, già accade nella maggioranza dei casi, perché milioni di profughi siriani o iracheni restano presso in Giordania, in Libano e in Turchia, anche per la speranza di poter rientrare presto o tardi in patria e di ritrovare la propria casa. Chi si mette in viaggio a rischio della vita e di violenze (soprattutto nel caso delle donne e dei bambini) indescrivibili sarebbe invece un “ricco” e “scriteriato” privilegiato. Trovo i suoi argomenti paradossali e, per più di un motivo, sbagliati. Dire che un perseguitato non è più tale per il solo fatto di essersi sottratto alle grinfie dei suoi persecutori è, infatti, soltanto un gioco di parole, mentre la vita di un perseguitato e il suo diritto a essere accolto e protetto sono questioni umanamente e politicamente serissime, frutto di drammi che dovrebbero sconsigliare a chiunque sofismi. Per la via che lei indica, mi creda, non si va lontano. Si può solo provare a giustificare la costruzione di “muri” che non riusciranno a reggere alla crescente disperazione di chi bussa e alla vergogna di chi li ha alzati. Noi italiani che, per mezzo secolo della nostra storia immediatamente post unitaria e per trent’anni di prima storia repubblicana, siamo stati popolo di «migranti economici» dovremmo averlo ben chiaro. I popoli che nell’Est europeo hanno vissuto oltre la “cortina di ferro” dovrebbero saperlo persino meglio di noi e di chiunque altro. Colpisce e addolora che tanti in quelle terre sembrino aver perso una tale essenziale memoria. Dicono, gentile signor Rubini, che “sentimentali” siano gli accoglienti che non accettano barriere precostituite e sanno che nessuna persona umana va mai respinta a prescindere, senza prima aver capito la storia che l’ha portata a sradicarsi dalla propria patria. Ma è vero il contrario: sono i respingenti ad alimentare un sentimentalismo alla rovescia, colmo di pregiudizi, di paura, persino di odio. Bisogna resistere, ragionare con lucidità e umanità, bisogna sgombrare lo sguardo. Il resto viene da sé.
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