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Poster che richiamano all'arruolamento nelle Forze armate per le vie di Mosca - ANSA
Sabato scorso a Novosibirsk c’erano 18° sottozero e così pure nei sabati precedenti. Nonostante ciò, un anziano signore, Vladimir Suhov, ogni sabato va in piazza per un picchetto pacifista. Ha un cartello con cui chiede libertà per Maria Ponomarenko, la giornalista di RusNews condannata a 6 anni di carcere per avere esposto durante il telegiornale della sera un cartello con scritto: “NO alla GUERRA. Non credete alla propaganda, qui vi mentono”. Sui social si diffonde la voce di Suhov fioca ma determinata. Il freddo rigido non l’ha fermato e si rivolge ai cittadini del suo paese: «Cari concittadini, in questo giorno, ormai prossimo alla primavera, il sole, nonostante il gelo, diventa sempre più luminoso. E spero che insieme al sole, la società arrivi a comprendere che la vita deve cambiare in meglio. Se solo ci fosse la pace sulla Terra e le persone non si uccidessero a vicenda».
La stessa determinazione di Oksana Osadchaya che a Mosca fa regolarmente un picchetto sulla Vecchia Arbat. È una giovane donna non vedente. Nel cartello che espone dice: «In carcere i criminali non i medici di cui abbiamo bisogno per curare i cittadini». Si riferisce al cardiochirurgo, la pediatra, l’anestesista che per avere detto no alla guerra scontano condanne a diversi anni di colonia penale invece di assistere i loro pazienti. Il sabato dopo torna e afferma: «Credo che qualsiasi persecuzione per l’attività professionale sia inaccettabile, compresa la persecuzione degli avvocati. Voglio che la gente sappia che imprigioniamo avvocati, giornalisti, insegnanti, dottori e semplicemente brave persone che fanno qualcosa di umano o semplicemente fanno il loro lavoro».
A Kazan, in piazza è scesa anche la sezione del Tatarstan del partito Yabloko, l’unica formazione politica che continua a mobilitarsi in tutto il territorio per la pace chiedendo la fine del bagno di sangue con il cessate il fuoco e negoziati. Qui si è tenuto un picchetto “Per la libertà di parola e di stampa” e a sostegno di Konstantin Smirnov, l’ennesimo giornalista arrestato il giorno prima, caporedattore della pubblicazione di Ryazan, Vid sboka. Gli attivisti di Yabloko e altre persone hanno esposto cartelli con scritto “La libertà di parola è il primo segno di demo-crazia”, “La libertà di parola è un sintomo di una società sana”, “La libertà di parola è un’arma per proteggere i diritti umani”, “Konstantin Smirnov è un giornalista, non un criminale”.
Sono solo alcuni esempi della resilienza e solidarietà di tanti russi che in ogni angolo del paese non cedono al buio della ragione. Persone che testimoniano una caparbia resistenza delle coscienze. Volti che da noi non si vedono e le cui voci non solo sono represse sono oppresse in patria, ma sono anche inascoltate e scomode alla rappresentazione sbrigativa di una società come un tutt’uno con chi detiene il potere e da tre anni trascina nella guerra in Ucraina e contro il suo stesso popolo. Di fatto sono gli stessi cittadini russi a sostenere chi viene colpito dalla repressione, a farsi carico del soccorso per chi non ce la fa a pagare un avvocato o ad assicurare medicine o lettere che aiutino a resistere. Chi aiuta sa di essere a sua volta esposto al rischio dell’arresto ed è accaduto già in molti casi. Inclusi gli avvocati posso incorrere nell’arresto e la condanna com’è accaduto ai difensori di Navalny. Tutto questo esiste ed è difficile soffocarlo persino nella Russia di Putin.
Si spera con disperazione che arrivi al più presto possibile un accordo per il cessate il fuoco perché ogni giorno, ogni minuto è più insopportabile il dolore per Odessa colpita al cuore, come Zaporizhya e le altre città ucraine con altre vittime civili innocenti a cui si aggiunge l’elenco dei soldati caduti da una parte e dall’altra del fronte.
Ma c’è anche il timore se non la certezza che una volta finita la guerra in Ucraina con si fermi anche quella verso chi in Russia si è opposto alla guerra. La paura dell’oblio anche da parte di chi non vede ora come non ha voluto vedere prima chi chiedeva libertà e democrazia. È un paradosso spettrale che spaventa e interroga chi assiste alla strategia dell’isolamento e dell’effetto delle sanzioni senza vederne maturare i frutti desiderati su chi comanda. In attesa dell’agognata pace, gli interrogativi crescono insieme alla sensazione di isolamento.
Distacco e incomprensione tra chi è rimasto e chi è esule, tra chi cerca appigli e canali di comunicazione con noi al di qua dei nuovi muri. Alla ricerca di un ascolto per un dialogo tutto da costruire. Tutto da ricostruire. Cogliere questa sfida dovrebbe essere qualcosa che coinvolge tutti. Tutti, nessuno escluso, istituzioni e società civile. Per conquistare la fiducia di chi in questi duri tre anni ha avuto il coraggio di resistere alla guerra, giornalisti indipendenti, persone della società civile e politici, è necessario dimostrare ora di saperli ascoltare e supportare. Pena l’abbandono a sé stessi anche in futuro, sacrificando le possibilità di una Russia libera.