sabato 26 aprile 2025
La Resistenza resta la radice della nostra democrazia, la sobrietà che serve è quella incarnata dal presidente Mattarella. Meloni sui valori democratici negati dal fascismo ha detto una verità storica
Lo striscione dell'Anpi sugli 80 anni della Liberazione a Milano, con Maurizio Landini che parla dal palco

Lo striscione dell'Anpi sugli 80 anni della Liberazione a Milano, con Maurizio Landini che parla dal palco - ipa-agency.net

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Lo sappiamo che per qualcuno, a destra, il 25 aprile fu solo un tentativo di fare la rivoluzione “rossa”. Lo sappiamo che in qualcuno, a sinistra, resta il rimpianto per quella rivoluzione ‒ è stato detto ‒ «tradita». Ma gli uni e gli altri, per fortuna sono sempre di meno e ancora meno saranno nel prossimo futuro, ci ostiniamo a crederlo. E, in ogni caso, c’è da sperarlo vivamente. Perché soltanto quando gli italiani riusciranno a dirsi finalmente, guardando negli occhi l’avversario (non nemico) politico, che la guerra civile è finita 80 anni fa insieme a quel regime liberticida e omicida che fu il fascismo, soltanto quando le macerie di quella guerra civile saranno state spazzate via da ogni cuore, soltanto quando realizzeremo che al posto della dittatura non ne nacque un’altra di diverso colore bensì una democrazia parlamentare che ha garantito diritti e libertà a tutti i cittadini, soltanto allora saremo definitivamente liberati.
Eccola, dunque, la sobrietà necessaria. Non quella paternalista e fuori luogo a cui il Governo ha richiamato martedì scorso coloro che sarebbero scesi in piazza ieri, quarto giorno di lutto per la morte di papa Francesco. Non quella di quei sindaci che ne hanno approfittato per “cancellare” dalle agende comunali il 25 aprile. No, la sobrietà che serve all’Italia è quella incarnata dal presidente Sergio Mattarella (e, prima di lui, da Giorgio Napolitano e da Carlo Azeglio Ciampi), che si traduce in un patriottismo repubblicano in grado di includere e accogliere tutti gli italiani che si riconoscono nelle istituzioni democratiche, nel rispetto della Costituzione nata dalla Resistenza, nella legittimazione reciproca tra diverse istanze politiche e ideali.

Il capo dello Stato ha citato proprio Francesco e la sua monumentale enciclica Fratelli tutti per esortarci a superare «conflitti anacronistici», per ricordarci che ogni generazione ha le sue lotte da fare e le sue mete da conquistare in nome della libertà e della giustizia. Trent’anni fa fu un uomo di destra, Gianfranco Fini, a far suo il concetto di patriottismo repubblicano, intraprendendo quel faticoso percorso, non indolore né privo di contraddizioni (anzi), che portò dal Movimento sociale italiano, nato alla fine del 1946 per iniziativa di reduci del fascismo, alla nascita di Alleanza nazionale. Trent’anni non sono stati sufficienti per eliminare definitivamente le scorie, così come ancora oggi ci sono frange antagoniste che vanno in piazza “contro”, sentendosi partigiani in battaglia con un nemico. Dimenticano che gli eroi della Resistenza (civili e militari, laici e sacerdoti, rossi, bianchi, azzurri) un nemico da combattere lo avevano davvero ed era armato, feroce, spietato.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, proveniente dalla stessa storia politica di Fini e di lui più giovane, negli ultimi anni ha cercato di fugare le ambiguità che in passato non sono mancate. Nel suo messaggio di ieri, ha definito la Festa della Liberazione la giornata in cui «la Nazione onora la sua ritrovata libertà e riafferma la centralità di quei valori democratici che il regime fascista aveva negato». Ha ribadito, cioè, una verità storica che nessuno dovrebbe avere difficoltà a riconoscere. Perché la storia «dà torto e dà ragione», come canta Francesco De Gregori, che pure ai “ragazzi di Salò” ha dedicato un altro suo bel brano. Quei ragazzi «che qui si fa l’Italia e si muore. Dalla parte sbagliata». Non erano certo meno italiani, quei ragazzi rimasti in camicia nera, dei loro coetanei che fecero la scelta opposta, ovvero di combattere la tirannia nazifascista. Né erano meno italiani di tutti quelli, e non furono pochi, che preferirono non farsi coinvolgere, molti dei quali, magari, durante il ventennio avevano aderito al fascismo per convenienza e senza convinzione. Solo la scelta giusta, quella della Resistenza, si è però trasformata in radice solida di una democrazia che ci ha reso tutti liberi. Per questo il 25 aprile è di tutti, lo si voglia o no.


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