A Roma duecento studenti in rappresentanza dei 5mila compagni di scuola che hanno risposto ai questionari, tre ministri, i presidenti delle commissioni Affari sociali di Camera e Senato, la garante per l’infanzia. E in giro per l’Italia decine di manifestazioni, convegni, appuntamenti. Le associazioni che si occupano di minori tutte schierate con iniziative, sondaggi e nuove statistiche. E poi dibattiti, indagini e tanto altro ancora. Perché l’evento di oggi, la prima Giornata nazionale dell’ascolto dei minori, è davvero importante, e le istituzioni hanno messo in campo tutto quanto necessario per celebrarla in modo degno. Lodevole soprattutto l’insistenza della viceministra del Lavoro e della Politiche sociali, Maria Teresa Bellucci che, dopo averla già proposta lo scorso anno, è finalmente riuscita quest’anno a concentrare gli sforzi del governo su un momento che – come annunciato – vuole rappresentare un punto di svolta nel rapporto tra ragazzi e mondo degli adulti. Tutti quelli che, come noi, hanno a cuore il futuro dei ragazzi, non possono che rallegrarsi per una Giornata che mette a fuoco e tenta di offrire qualche risposta a un’emergenza globale come quella dell’ascolto dei minori. E, se siamo di fronte a un’emergenza, la soddisfazione nel vederla riconosciuta e sottolineata con un grande evento ufficiale come quello di oggi, è giocoforza velata di amarezza.
Perché emergenza globale e perché amarezza? Perché le disattenzioni – chiamiamole così – verso i minori sono il frutto di una deriva culturale, di un vuoto di senso, di un impoverimento valoriale che tocca ciò che abbiamo di più prezioso: la trasmissione generazionale. Quel meccanismo fondamentale che rappresenta, allo stesso tempo, la radice della nostra umanità e proietta verso il futuro il paradigma di una convivenza civile che abbiamo ricevuto come consegna preziosa per trasmetterla, arricchita e sviluppata, a chi verrà dopo di noi. Ma come realizzare un obiettivo così importante se non ci ascoltiamo più? Questo plurale non l’abbiamo messo a caso. L’ascolto è un percorso educativo che prevede un doppio binario. Giusto sottolineare l’importanza dell’ascolto dei ragazzi. Ma è altrettanto importante ribadire che i ragazzi devono trovare le ragioni e la soddisfazione nell’ascoltare gli adulti. Questo gioco di rimandi, delicato e rispettoso, prudente e attento, è la chiave dell’educazione. Oggi entrambi i momenti sono in crisi profonda. Troppe volte noi genitori, insegnanti, educatori bussiamo alle porte dei nostri ragazzi e non riusciamo a farci aprire. La relazione diventa una fatica assurda. Non troviamo le parole giuste, il momento adeguato, l’occasione per fare breccia nella loro corazza d’indifferenza. E allora puntiamo il dito contro i social, contro il Web, contro le lusinghe dell’intelligenza artificiale che ci sottraggono l’attenzione dei figli e – almeno così sosteniamo per trovare un alibi alla nostra impotenza – ci rendono meno interessanti ai loro occhi. Eppure, quello che passa da un genitore a un figlio è il momento primario dell’ascolto. Servono le parole, certamente. Ma accompagnate all’esempio e alla coerenza dei comportamenti. Se mancano i fatti, le parole diventano mezzi fragili e spuntati. Poco credibili, appunto. E non dobbiamo rammaricarci se lo sguardo dei ragazzi rimane incollato allo schermo dello smartphone.
Quando succede questo, quando le parole non riescono più a trovare la strada giusta e l’ascolto si spegne sul binario d’andata – succede anche nelle migliori famiglie – è il momento di mettersi al loro fianco, di assumere in silenzio il loro dolore, come dice con grande efficacia lo psicologo Matteo Lancini, di rimanere accanto al loro disagio accettando malesseri e scomodità. È l’ascolto del silenzio. E fa quasi sempre breccia, aprendo la strada a quello delle parole. Ecco, sono questi i momenti in cui dobbiamo ascoltare i nostri adolescenti, dobbiamo renderci disponibili per offrire loro orecchie e cuore, per mostrare attenzione e accoglienza. Sono momenti di intensa intimità che costruiscono intesa e stima reciproca. Ma occorre esserci, occorre saper cogliere al volo il momento magico in cui permettere alle parole – quelle che arrivano e quelle che tornano – di fluire con tutta la libertà e la disponibilità possibili. Ecco perché l’abitudine all’ascolto – ascoltare ed essere ascoltati – non si può che costruire in famiglia. Tutti gli altri momenti educativi – a scuola, nella pratica sportiva, negli ambienti ecclesiali – sono una conseguenza e un adattamento a quel modello. E non potrebbe essere diversamente. Quasi mai un insegnante o un catechista possono offrire a un adolescente quel “tempo di qualità” individuale che serve per stabilire l’equilibrio dell’ascolto. Ma è un’attenzione che, ovunque i ragazzi si trovino, non può mancare. Nel mosaico dell’educazione tutti i tasselli dell’ascolto, nelle rispettive e diverse funzioni, contribuiscono alla crescita della persona. Giusto quindi – come si propone la Giornata di oggi – ribadire che quello dell’ascolto dei minori rimane un momento educativo insostituibile. Ma solo se non dimentichiamo che il diritto dell’essere ascoltati con partecipazione, va di pari passo con la loro capacità e la loro abitudine ad ascoltare. Con attenzione e, diciamolo pure a costo di apparire desueti, con rispetto e gratitudine. Anche questi sono valori che servono al loro e al nostro futuro.

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