giovedì 26 aprile 2018
Un lettore teme che si siano violate le regole. Sequeri, gran teologo, spiega a lui le ragioni dell'amministrazione del sacramento al piccolo Alfie e a tutti noi perché ...
Perché l'«unzione degli infermi» a un bimbo di 2 anni è del tutto valida
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Gentile direttore, stupisce, stupisce molto che “Avvenire”, quotidiano di ispirazione cattolica, nel numero di domenica 22 aprile, pubblichi a pagina 12 un articolo a firma di Silvia Guzzetti da Londra, in cui si scrive testualmente che don Gabriele Brusco «pochi giorni fa ha amministrato al bambino l’unzione degli infermi»... A un bambino, Alfie Evans, che non ha ancora compiuto due anni di età! Prescrive il Codice di diritto canonico, can. 1004 §1. «L’unzione degli infermi può essere amministrata al fedele che, raggiunto l’uso di ragione, per malattia o vecchiaia comincia a trovarsi in pericolo». Raggiunto l’uso di ragione! Altrimenti il sacramento dell’unzione non può e non deve essere amministrato! È invalido! Con tutto il rispetto per la difficile situazione e la solidarietà verso i genitori del piccolo, sarebbe auspicabile una chiarificazione nel vostro giornale. Se pubblica questa mia lettera, la prego di non mettete il mio nome completo... Ma si rispettino le regole della Chiesa! Grazie e buon lavoro.

Renzo

Gentile signore, il direttore ha chiesto a me, teologo, di rispondere alla questione da lei sollevata. Cercherò di farlo brevemente e nel modo più chiaro possibile. È ormai da tempo maturato nella coscienza ecclesiale e nel magistero autorevole il superamento di una concezione individualistica e intellettualistica delle disposizioni necessarie per la recezione della cresima e del sacramento eucaristico (il sacramento di tutti i sacramenti!), che ricupera il ruolo determinante di una fede ricevuta e assimilata oltre l’uso di parola. L’approfondimento della sussidiarietà parentale e comunitaria della fede della Chiesa estende per analogia, in particolari condizioni che la giustificano, la prassi (e la dottrina) già legittimamente e autorevolmente affermata a riguardo del battesimo degli infanti. Possiamo ricordare, ad esempio, la dichiarazione limpida e non reticente di Benedetto XVI: «Venga assicurata anche la comunione eucaristica, per quanto è possibile, ai disabili mentali battezzati e cresimati. Essi ricevono l’Eucaristia nella fede anche della famiglia e della comunità che li accompagna» (Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis, 2007, n. 58). Poiché qui i genitori di Alfie, battezzato cattolico, sono più che evidentemente ben disposti a riversare sul figlio, mediante la loro grande fede e il loro immenso affetto, la speranza e la consolazione del sacramento del Signore che sostiene nella prova della malattia grave e della morte, direi che non abbiamo motivo per sollevare obiezioni di tipo legalistico all’applicazione della maternità parentale ed ecclesiale, già esercitata per il battesimo, anche per il sacramento dell’unzione degli infermi. In questo caso eccezionale, poi, il palese coinvolgimento della Chiesa universale, tramite l’appello del papa Francesco, certifica ad abundantiam le condizioni di questa sussidiarietà della fede. La Costituzione Apostolica Sacram Unctionem Infirmorum del 1972 indicava del resto chiaramente, e senza ulteriori distinzioni, che «Il sacramento dell’Unzione degli infermi viene conferito ai malati in grave pericolo» (cfr. CCC 1513).

sacerdote, preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II

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