Perché dire no ai soldi alla guardia costiera libica
giovedì 15 luglio 2021

Gentile direttore, oggi la Camera voterà il rinnovo di 40 missioni internazionali dell’Italia per il 2021, un compito per il quale il nostro Paese è stimato per professionalità e si è spesso distinto per umanità. Il sogno del pacifismo attraversa molti di noi, ma insieme ci interroga su come non rimuovere una responsabilità quando la dignità e la vita sono sistematicamente violati, a partire dalla libertà delle donne. Vengono da qui dilemmi anche angoscianti che interrogano governi, culture politiche e coscienze. Sono oltre venti le guerre ad alta intensità e centinaia i conflitti in corso, spaventosi i disastri ambientali e le povertà di cui anziani e bambini sono i più colpiti. Basterebbe questo a dirci perché oggi i diritti umani globali rappresentano la vera utopia concreta per credenti e non. Anche per questo, se in queste ore le cose non cambiano, in Aula sosterrei le altre missioni, ma voterei no alla scheda 48 sul finanziamento alla Guardia Costiera libica. Lo farei con lo stesso spirito con cui già lo feci un anno fa. E con rispetto profondo per gli altri colleghi.

Un intervento mi impone l’assenza per qualche giorno, ma ritengo un atto di trasparenza dar conto della mia opinione. E mi fa piacere mandare queste righe al suo giornale per la cura che ha sempre dedicato a un dramma che attraversa la nostra modernità, straordinaria nella scienza e nelle tecnologie ma così avara di solidarietà e accoglienza.

Cinque anni sono trascorsi da quando il governo italiano ha sottoscritto il Memorandum con la Libia e di seguito gli accordi sulla Guardia Costiera finalizzati a bloccare il flusso delle partenze a bordo dei barconi. Ma poi? Quei profughi sono ricondotti nei campi di detenzione dove violenze, torture, stupri non si interrompono, come il vostro Nello Scavo ha tante volte documentato. E a finire schiacciati sono i più deboli tra i deboli, corpi cancellati allo sguardo almeno fino a quando l’immagine di uno, magari il più inerme, si fa talmente potente da costringere ad aprire gli occhi anche quanti non volevano vedere. L’immagine era quella di una creatura di pochi mesi che due braccia robuste e decise hanno sollevato dall’acqua all’ultimo. Quella foto ha commosso il mondo, l’hanno scattata a Ceuta, nel tratto di mare tra Spagna e Marocco. Ma è un’immagine che interroga l’Europa intera se è vero che i suoi confini finiscono dove terminano i valori della sua civiltà. Vale per tutti e ovunque, se guardiamo dove spesso non vogliamo vedere, come nelle nostre carceri.

Ecco perché non è bastato e non basterà all’Europa "appaltare" il dramma ad altri, magari pagandoli come accade con la Turchia. Ed ecco perché non funziona la doppia morale di un Occidente ingrigito che si commuove per i morti e intanto, in nome di interessi, vende armi a regimi autoritari. È complicato capovolgere gli schemi e farne consenso mentre qualcuno specula, anche elettoralmente, contrapponendo ultimi a ultimi, solitudini a solitudini, diritti a diritti. Però resta che il valore della persona e della dignità diranno cosa saremo e cosa sarà la democrazia di questo secolo.

Lo so, l’Italia deve recuperare una funzione in Libia e aiuta l’autorevolezza del governo e del presidente Sergio Mattarella. La si costruisce con diplomazie, investimenti in università, sminamento, supporti sanitari come a Misurata. La si costruisce con la richiesta di svuotare i campi di detenzione e allargare la presenza delle agenzie umanitarie. Lo si fa col rafforzamento dei corridoi umanitari e di canali di ingresso regolari, col ripristino di un sistema istituzionale ed europeo di soccorso e senza negare considerazione alle Ong. Ma, tanto più se la cooperazione in Africa e gli investimenti in Libia sono parte del programma, suona come ferita il rifinanziamento alla Guardia costiera libica. A lungo nella tragedia del Mediterraneo l’Europa ha sacrificato la sua anima e girato male il cacciavite, usando il titolo del libro di Enrico Letta. Che la si veda con gli occhi della Next generation Eu o con lo sguardo della storia, al fondo, anche i simboli sono uno specchio.

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