giovedì 24 giugno 2010
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La durezza della crisi finanziaria internazionale ha imposto repentinamente una svolta rigorista, imponendo agli Stati di rispettare una ferrea disciplina di bilancio e ai sistemi economici di recuperare produttività per non essere emarginati in una fase di competizione accentuata. I due processi si svolgono simultaneamente creando inevitabili tensioni e possibili squilibri. Quel che accade in Italia in questi giorni, con la dialettica tra i diversi livelli di governo sulla distribuzione dei carichi della manovra correttiva e la complessa operazione che ha coinvolto la Fiat e i lavoratori sulla possibilità di realizzare e rendere produttivo un importante investimento a Pomigliano d’Arco (impianto cardine nel sistema industriale del nostro Sud), rappresenta abbastanza bene la dimensione dei problemi che si accavallano.Il tratto comune è la difficoltà a passare da una tradizione di antagonismo, più o meno reale ma comunque enfatizzato dalla retorica della lotta di classe e dell’autonomismo territoriale, a una di corresponsabilizzazione. Naturalmente una dialettica di interessi è effettiva e fisiologica in una società e in un’economia libere. Questa dialettica, però, è stata enfatizzata come conflitto, nel quale qualcuno doveva vincere e qualcuno essere sconfitto, o almeno sembrava indispensabile dare questa impressione. In realtà le squillanti "vittorie" sindacali del passato venivano spesso compensate, e in gran parte annullate, da fenomeni inflattivi e i successi delle autonomie altrettanto spesso si sono tradotti in aumento della spesa pubblica globale con gli effetti cumulativi di cui soffriamo e soffriremo per decenni le conseguenze.Oggi è evidente che la competizione con l’esterno, i rischi di punizione da parte dei mercati internazionali (speculativi o meno, da questo punto di vista conta poco) per eccessi di deficit pubblico o insufficiente competitività dei settori produttivi, porta a una situazione in cui si vince o si perde insieme. La costruzione degli assetti di negoziazione di un tipo inedito, adatti a una situazione inedita, è tutt’altro che semplice. Un’azienda che chiede responsabilità ai lavoratori, un governo che chiede sacrifici ai livelli di governo decentrati, debbono contemporaneamente dimostrare la loro responsabilità, chi chiede fiducia deve anche dare fiducia agli interlocutori.È comprensibile che la mossa di apertura spetti a chi ha più potere e più responsabilità, ma di lì in avanti serve di più la disponibilità effettiva al confronto, all’ascolto, alla considerazione delle diverse peculiarità, della reiterazione di diktat unilaterali e livellatori. Per questo se va apprezzato l’accordo per gli investimenti a Pomigliano, bisogna evitare che la scelta specifica operata in quello stabilimento diventi una "regola" generale. Proprio l’articolazione delle relazioni industriali per adattarle alle situazioni specifiche, che è il segno di quell’accordo, verrebbe negata da una pretesa di estensione acritica e "orizzontale".Lo stesso, in un certo senso, si può dire della ripartizione degli sforzi necessari per tenere sotto controllo la spesa pubblica. Se si riconosceranno specificità e articolazioni, anche attribuendo a regioni e comuni un ruolo effettivo nella suddivisione degli interventi, contrattando un nuovo e più stringente patto di stabilità interna condiviso, si potrà gestire la dialettica fisiologica tra livelli di governo senza trasformarla di nuovo in conflitto.
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