Per l’Etiopia possiamo molto purché non armiamo la guerra
martedì 7 febbraio 2023

Arrivato a Roma per una visita lampo, il premier etiope Abiy Ahmed è stato ricevuto ieri mattina dal presidente della Repubblica e poi dalla premier Giorgia Meloni inaugurando un tour nelle capitali europee. Il colloquio con il capo dell’esecutivo ha riguardato il rafforzamento della cooperazione tra i due Paesi. Ricordati come da rituale i «legami storici che nel tempo si sono arricchiti, in un rapporto sempre più intenso sul piano economico e politico e che questo governo intende rafforzare », Meloni si è impegnata a guidare prossimamente una delegazione di imprese in una missione economica politica dando seguito di alcune intese siglate ieri. Nell’immediato futuro, l’intenzione dell’esecutivo italiano è di rafforzare i rapporti con Addis Abeba nello spirito di « partenariato paritario nei confronti delle nazioni africane » all’insegna di quel «Piano Mattei per l'Africa inteso come cooperazione allo sviluppo che possa aiutare i paesi africani a crescere».

Le intenzioni paiono buone, dunque, e certamente l’Etiopia di Abiy ha bisogno anche elle imprese italiane per creare occupazione e sviluppo. La nuova politica estera italiana, il “Piano Mattei” per l’Africa – slogan finora nominalmente efficace, ma dai contorni misteriosi –, inizia ad assumere una fisionomia più chiara con la sua applicazione al di fuori dei Paesi produttori di gas e petrolio, in quel Corno d’Africa dove fummo potenza coloniale e che da vent’anni è origine di flussi migratori che finiscono in Libia in attesa di prendere il mare verso la Ue. Nei prossimi giorni arriverà a Roma, per incontrare le massime cariche dello Stato, anche il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, impegnato in una lotta serrata ai terroristi di al-Shabaab. Ma che cosa può fare l’Italia per l’Etiopia? Lo sciagurato conflitto civile in Tigrai al quale il premio Nobel per la pace del 2019 – uno dei più controversi – non si è affatto sottratto e, poi, gli effetti della pandemia e del drammatico aggravarsi del conflitto russo- ucraino hanno interrotto un avviato processo di crescita economica.

L’inflazione è aumentata così come la povertà, aggravata dalla siccità che ha fatto saltare nelle zone meridionali sei stagioni delle piogge. Anche le necessarie riforme prospettate dal leader quando cinque anni fa salì al potere si sono fermate. Il momento è delicato, nel Nord dell’Etiopia tre mesi fa è stato firmato l’accordo di pace del conflitto dimenticato in Tigrai, costato almeno mezzo milione di morti tra violenze e carestie provocate stando a diverse fonti umanitarie e politiche. Probabilmente il più rabbioso e sanguinoso di questo nostro tempo. L’accordo sta procedendo lentamente anche se il premier etiope e le autorità regionali tigrine si sono incontrati per la prima volta ad Addis Abeba venerdì scorso per implementarlo.

L’Italia può offrire finalmente, dopo due anni di sostanziale mutismo, un contributo serio alla pace anche premendo sul governo di Abiy, come già fatto dalla Ue, perché le truppe eritree escano definitivamente dal suolo tigrino dove hanno combattuto gli arcinemici del Tplf insieme alle truppe federali etiopi, infierendo purtroppo sulla popolazione civile con saccheggi, massacri e stupri. La loro presenza, oltre a dare una pericolosa connotazione internazionale alla crisi, sta prolungando l’emergenza umanitaria provocata dalla guerra, che ha portato nove milioni di etiopi a vivere di aiuti. In parole povere, devono riaprire le scuole chiuse da tre anni e gli ospedali privi di farmaci o distrutti devono essere riattivati per risollevare il Paese. La seconda cosa per rendere l’Italia partner “privilegiato” della regione, come auspica la premier italiana, è favorire l’operazione verità della Commissione dell’Onu sui crimini di guerra commessi dai belligeranti nell’Etiopia settentrionale.

Deve essere chiaro a tutti che non c’è pace senza giustizia, sempre e non solo quando fa comodo dichiararlo per non tentare neppure di fermare una guerra. Infine, l’Italia deve continuare ad avere una chiara ’agenda di pace. Il maxi-sequestro operato dalla Finanza nel porto di Genova il 23 gennaio di macchinari per la produzione di armi diretti in Etiopia, violando la risoluzione del Parlamento europeo, è inquietante. L’Italia ha riattivato l’accordo di cooperazione nel settore degli armamenti con l’Etiopia che con la guerra civile era stato sospeso. Chiediamo che, invece, nel “piano Mattei” trovino cittadinanza le parole pronunciate domenica dal Papa di ritorno dal Sud Sudan: « La vendita delle armi è la peste più grande. Senza vendere armi per un anno finirebbe la fame nel mondo».

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