Pensare al «Quarto Magio» conforta, e oggi anche di più
sabato 9 gennaio 2021

Caro direttore,

sarà permesso anche a me, dopo Mauro Armanino e Luigi Giario, dire qualcosa sul Quarto Magio. Forse, proprio come lui, arrivo in ritardo sull’Epifania che abbiamo celebrato da qualche giorno, ma mi piace pensare che, secondo la metafora di questa leggenda, anche in questo caso il ritardo possa risolversi in un valore aggiunto rispetto alle già pregevoli riflessioni di chi mi ha preceduto. Il “mio” Artaban, infatti, quello che ho raccontato in “Per un’altra strada” (Edizioni Paoline) da qualche mese in libreria, è più vicino al modello di Henry Van Dyke che a quello del portatore di sabbia, immaginato da padre Armanino. Al cui provocatorio e suggestivo simbolismo forse potrebbe essere aggiunta la considerazione che sì, anche la nostra sabbia – cioè il nostro niente di creature infinitamente piccole e corrotte dal peccato («Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?», si chiede l’autore del Salmo 8, dal quale non a caso sono partito nel mio racconto) – possa essere trasformata da Gesù Bambino nelle pietre preziose della grazia. Dal momento dell’incarnazione non siamo più solo polvere destinata a ridiventare polvere. Il Dio che ha assunto la nostra corporeità e con la risurrezione l’ha introdotta nella vita trinitaria, ci ha di fatto resi ancora più preziosi di quel «poco meno di Elhoim» che sempre nel Salmo 8 fa già da elevato contraltare alla finitezza umana.

Artaban allora davvero è un personaggio di straordinaria modernità. Perché a dispetto del suo ritardo e dello sbagliare strada (propri di ogni essere umano), del disperdersi nei pensieri del suo cuore (come tanta parte della cultura contemporanea), è però un uomo in costante ricerca, uno che non si arrende mai, come certe squadre capaci di raggiungere il risultato anche al novantesimo e oltre. Un uomo che nelle sue scelte fondamentali si lascia guidare dal “cuore” (inteso anche latinamente come sede di un’intelligenza amica dei sentimenti) e che le pietre preziose le mette a disposizione degli altri, dei più bisognosi, di chi al lato della strada è incappato nei mille “briganti” possibili alla sua epoca come al giorno d’oggi e ne è stato travolto. Altro che censura. Uno così va ricordato e usato come modello.

Ecco perché ho immaginato un Artaban con il volto al quale ognuno di noi può sovrapporre i suoi lineamenti. Dal non credente di cui parla Giario all’intellettuale in ricerca, dal giovane inquieto all’operatore sanitario che sta in trincea contro il Covid. Dall’educatore all’assistente sociale, dal volontario Caritas al semplice fedele ai padri e alle madri di famiglia. Artaban diventa così prima di tutto uno che con il “problema” di Dio si confronta in un corpo a corpo senza esclusione di colpi, alla maniera di Giacobbe, e contemporaneamente non resta nella torre d’avorio delle sue elucubrazioni, ma sa sporcarsi le mani quando serve. Perciò alla fine, nel gran laboratorio della sua vita alla ricerca di Gesù, trova nel donarsi perfino (e suo malgrado, verrebbe da dire) la formula del vaccino contro il virus più letale della nostra epoca: l’individualismo che ci isola non solo fisicamente ma anche e soprattutto a livello dei sentimenti. Dunque, in questi giorni convulsi e per molti versi disorientanti a livello politico e sociale; ripensare al Quarto Magio mi dà conforto. Anche se dovessimo momentaneamente smarrire la strada, sapere che c’è Uno che segue i nostri passi e si fa trovare puntuale all’appuntamento che conta, pur se gli portiamo la sabbia del nostro niente perché le pietre preziose dei nostri talenti le abbiamo messe a disposizione degli altri, è fonte di speranza e di gioia.

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