martedì 13 settembre 2016
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«Vi prometto che seguiremo la strada della verità, ovunque possa portarci». Le parole scandite da papa Francesco a Philadelphia nel settembre di un anno fa, incontrando alcune vittime di abusi sessuali perpetrati da persone consacrate, sono solo un esempio del piglio concreto con cui la Chiesa – praticamente in solitudine – sta reagendo alla piaga immonda della pedofilia. Una piaga che dilaga nel pianeta e coinvolge milioni di persone, tra vittime e carnefici, senza che governi e istituzioni si rendano conto della reale dimensione del fenomeno né prendano decisioni forti per arginare la cancrena. «Nella Chiesa sia mantenuta la tolleranza zero», raccomandava invece Francesco anche nel Sinodo sulla famiglia. Così come aveva già spiegato, lapidario, ai giornalisti sull’aereo che li riportava indietro dalla Terra Santa, nel maggio del 2014: «Per un sacerdote abusare di un bambino equivale a fare una messa nera». Due mesi prima aveva istituito la Pontificia Commissione per la tutela dei minori, chiamando a farne parte anche alcune vittime di sacerdoti infedeli, e lo aveva fatto con un preciso obiettivo: «Dolorosi fatti hanno imposto un profondo esame di coscienza da parte della Chiesa e, insieme con la richiesta di perdono alle vittime e alla società per il male causato, hanno portato ad avviare con fermezza iniziative di vario genere, nell’intento di riparare al danno, fare giustizia e prevenire, con tutti i mezzi possibili, il ripetersi di episodi simili in futuro». Riparare, fare giustizia, prevenire: parole cui immediatamente sono seguiti i fatti.Nessuna meraviglia, allora, se in questi giorni Francesco, continuando un cammino già profondamente tracciato da Benedetto XVI, ha di nuovo incontrato, in udienza, alcune persone che in passato hanno vissuto l’esperienza traumatica di subire violenza proprio da coloro di cui più si fidavano, e si è rivolto alle Conferenze episcopali nazionali perché istituiscano una Giornata mondiale di preghiera per le vittime di abusi da parte del clero. Già nella lettera agli episcopati e ai superiori religiosi di tutto il mondo, nel febbraio del 2015, Francesco era stato molto chiaro ricordando che la Chiesa non può tirarsi indietro «perché è una casa sicura», cui ogni uomo ha diritto di rivolgersi «con piena fiducia». Fiducia che non può essere tradita per nessuna ragione, tantomeno il desiderio di evitare uno scandalo, «poiché non c’è assolutamente posto nel ministero per coloro che abusano dei minori». Sempre a Philadelphia, a tale proposito, ha richiamato «clero e vescovi» alla loro responsabilità non solo nel caso si siano macchiati personalmente del crimine, ma qualora abbiano coperto colpe altrui e non si siano schierati dalla parte del più debole. È con tenerezza ma anche fermezza che la Chiesa esercita su se stessa quella tolleranza zero più volte proclamata dal Papa, per il semplice e lampante motivo che l’effettiva tutela dei minori e «l’impegno per garantire loro lo sviluppo umano e spirituale» consono alla dignità della persona umana «fanno parte integrante del messaggio evangelico», ha scritto nel documento istitutivo della suddetta Commissione, che nei giorni scorsi ha prodotto le linee guida per la protezione dei bambini e un resoconto dettagliato sui programmi educativi e i gruppi di lavoro avviati nei cinque continenti. Francesco ha sentito il bisogno di istituire questo nuovo organismo e ha chiesto ai suoi membri di accordare priorità esclusiva «ai minori e agli adulti vulnerabili», categorie unite dal fatto di essere «i piccoli», coloro che «il Signore guarda con amore». Quegli ultimi che, nella rivoluzione di Cristo, sono i primi. Se questa è l’ottica, nessun alibi potrà mai più giustificare il non aver voluto vedere, il non aver voluto ascoltare, e il desiderio di giustizia porterà ogni uomo di Chiesa al suo agire più naturale, cioè – è ancora Francesco a dircelo – a «cooperare a tale scopo con quanti individualmente o in forma organizzata perseguono il medesimo obiettivo».Impossibile, allora, non ricordare la determinazione con cui Benedetto XVI spazzava via ogni accusa di reticenza e inaugurava una stagione di concreta collaborazione con le magistrature. E nella Lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda (marzo 2010) ordinava: «Sottomettetevi alle esigenze della giustizia», pretendendo una Chiesa più severa dei tribunali. Se la giustizia ordinaria, infatti, conosce i tempi della prescrizione, per la Chiesa i delicta graviora non cessano mai di essere crimini e come tali perseguibili.Nel buco nero della pedofilia mondiale, le violenze commesse da religiosi sono percentualmente minime (moralmente macroscopiche), eppure solo tra queste agisce una reale volontà di contrasto. Non solo: secondo la legislazione penale italiana i vescovi che venissero a conoscenza di abusi da parte di sacerdoti non hanno obbligo giuridico di denuncia, «ma ciascuno di essi ha l’obbligo morale di favorire la giustizia che persegue i reati», ha chiarito il segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, perché «il vescovo è un padre per tutti, soprattutto per chi ha subìto». Se ogni nazione sapesse e volesse agire come la Chiesa e fare di se stessa una casa sicura per "i piccoli", la piaga pedofilia anziché dilagare si starebbe già rimarginando. È tempo che il mondo veda. E provveda.
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