sabato 24 novembre 2012
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Le dichiarazioni altisonanti del movimento M23, che si dice pronto a marciare sulla capitale congolese Kinshasa, evocano gli spettri del passato. Era l’ottobre del 1996, quando quello che fino ad allora era stato un illustre sconosciuto, un faccendiere mercante di pepite e trafficante di armi, di nome Laurent-Désiré Kabila, dichiarò di voler rovesciare il regime di Mobutu Sese Seko. Nel maggio dell’anno successivo, non solo egli riuscì nell’impresa, ma da allora la Repubblica Democratica del Congo, il versante orientale in particolare, si è trasformato in un campo di battaglia dove è stato versato un fiume di sangue innocente.
Il 2 agosto 1998, nell’ex Zaire si ritornò a combattere per oltre cinque lunghi anni. E nonostante gli accordi di pace siglati in Sudafrica e l’indizione e lo svolgimento di elezioni generali, oggi l’ex colonia belga potrebbe riesplodere. Gli attori in campo, questa volta, sono in buona parte congolesi, anche se vi è un’indubbia presenza militare ruandese, a cui si associano, lungo la linea di confine, addirittura reparti ugandesi. Attualmente, si confrontano sul campo, con ruoli e alleanze non sempre intelligibili, l’esercito regolare del Congo (Fardc), i ribelli Mayi-Mayi, gli esuli ruandesi di etnia hutu (Fdlr), e l’agguerrito M23, di matrice filo­ruandese, fuoriuscito ad aprile dall’esercito regolare.
Questa formazione armata è composta in gran parte da mercenari ruandesi, ma anche da ufficiali dell’esercito di Kigali, rispondendo agli ordini del presidente ruandese Paul Kagame il quale, già nel ’96, appoggiò la campagna militare di Laurent-Désiré Kabila. Oggi si sta profilando uno scenario simile, con il tentativo spregiudicato da parte di Kigali di avere il controllo del vicino gigante congolese o comunque dei territori orientali che confinano col Ruanda. Ciò che alimenta le ostilità, determinando uno stato di barbarie, non è altro che la ricchezza del sottosuolo: dal coltan (lega naturale di columbio e tantalio) all’oro, per non parlare delle fonti energetiche, petrolio in primis.
A sparigliare le carte è comunque stata la decisione, da parte dell’attuale presidente Joseph Kabila (figlio adottivo di Laurent-Désiré), di siglare alcuni importanti contratti con imprese cinesi; uno sbilanciamento del governo di Kinshasa in favore dell’Impero del Drago che non è affatto gradito né agli Stati Uniti né ad alcuni governi europei (Francia, Belgio e Regno Unito). In questo senso, il Ruanda sente di avere le spalle coperte, potendo peraltro vantare un alibi che gli consente di fare il bello e il cattivo tempo: la presenza nel territorio congolese dell’Fdlr, cioè dei cosiddetti 'genocidari' hutu fuggiti dal Ruanda a seguito della conquista di Kigali da parte del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr) nel 1994.
Sebbene, questa formazione sia ostinatamente anti-Kagame, il suo insediamento nel Kivu costituisce il pretesto per le forze armate ruandesi di vantare, non solo un diritto di prelazione sulle materie prime congolesi, ma addirittura di realizzare un’occupazione che, in prospettiva, dovrebbe portare all’annessione politica del Congo Orientale al piccolo, ma sempre più bellicoso Ruanda. È ovvio che in questo contesto la diplomazia congolese non può che appellarsi alle Nazioni Unite e all’Unione Africana, che hanno la responsabilità di garantire l’integrità dell’ex Zaire, rispetto alle mire espansionistiche di Kigali.
Purtroppo la presenza della Monusco – un dispiegamento di 18mila caschi blu nel Kivu – non è riuscita a garantire la sicurezza a Goma e dintorni. Essa infatti interpreta il suo mandato di proteggere i civili congolesi in modo tale da evitare ogni confronto armato con i ribelli. Spetta ora all’Unione Africana l’arduo compito di dirimere la matassa, prima che scoppi un’altra, tragica guerra congolese.
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