giovedì 17 settembre 2020
Come rivoluzionare le politiche per vincere la sfida di un’occupazione al passo coi tempi
Orientamento e formazione un investimento per il lavoro
COMMENTA E CONDIVIDI

Lo tsunami della pandemia provocata dal Covid-19 ha aggravato, e non generato, una deriva in corso da tempo. Le conseguenze del lockdown rischiano di esondare dal piano economico a quello sociale. Il mercato del lavoro, motore dell’economia nazionale e della sua domanda interna, s’è trasformato in crescente zavorra, con eccezioni quantitative, ma non qualitative, in alcune aree del Nord del Paese.

Ci fermiamo qui. Più che l’analisi della crisi, ci appassiona un ragionamento sulle politiche per invertire la tendenza (il documento integrale è disponibile su We-CanJob.it) e intendiamo svilupparlo anche tendendo conto del recente intervento su queste pagine dei commissari europei Mariya Gabriel e Nicolas Schmit («Aumentare le competenze, accrescere il futuro comune», “Avvenire” 8 settembre 2020).


I sostegni pubblici al salario devono essere condizionati a programmi di aggiornamento: una filiera verso una «fabbrica delle competenze»

La lotta alle disuguaglianze deve tendere alla creazione di buon lavoro. Serve un’azione sistemica che integri tutte le componenti che contribuiscono ad un efficiente funzionamento dell’incontro domanda-offerta di lavoro. È necessario recuperare il presidio della parabola evolutiva del cittadino, prima studente consapevole poi lavoratore proattivo che non attende sussidi ma contribuisce al benessere della collettività. Questo percorso, e non la messe di sussidi e regolamentazioni, consente d’innalzare il tasso di occupabilità individuale, vero propulsore di traiettorie lavorative solide, continue e gratificanti, e garanzia di una dignità sociale oggi in pericoloso appannamento.

Parimenti è indifferibile responsabilizzare le singole persone quando ricevono aiuti pubblici finanziati col debito. Il principio dovrebbe essere: «Nessun sostegno salariale senza formazione o senza servizi alla collettività». Ad esempio, il diffuso ricorso alla Cassa Integrazione e alle sovvenzioni al reddito va condizionato ad una formazione obbligatoria di massa per sostenere lo sviluppo. Il buon lavoro non si crea per Decreto ma si costruisce attorno ad un set di competenze alte e adeguate alle esigenze del mercato. Per consentire la sua continua ed efficace ri-generazione è essenziale consolidare una altrettanto dinamica configurazione che tenga assieme le tre fasi dello sviluppo delle capacità: orientamento- formazione-lavoro.

Questa filiera costituisce vera fabbrica delle competenze, una figura circolare, non lineare. Orientamento formativo e professionale, formazione, ri-orientamento, formazione continua, lavoro sono tessere di un unico mosaico, fasi che si alternano, non susseguono le une alle altre. Che si debba partire dall’orientamento formativo è un’evidenza. Larga parte del cosiddetto mismatch tra domanda e offerta è alla fonte. I dati ci restituiscono la realtà di una bussola inefficiente. In Italia la dispersione scolastica ossia la percentuale di abbandono dei percorsi curriculari prima del loro completamento è pari al 14,5%, una delle più alte in Europa. Oltre il 10% del mezzo milione di studenti che ogni anno si iscrive alle scuole superiori, circa 70.000 ragazzi, non raggiunge il diploma. L’Italia svetta in un’altra triste classifica, quella dei Neet (Not in education, employment or training), ossia dei giovani che tra i 15 e i 29 anni sono fuori da percorsi di studio o di lavoro.

La percentuale è doppia rispetto alla media europea, il 23,4 contro il 12% medio Ue. Tradotto in cifre, oltre 2 milioni di gio- vani sul divano. Altri due dati messi insieme denotano una dissonanza roboante. Una solida maggioranza di studenti (il 54,6%) dopo le scuole medie opta per un liceo. Peccato che solo il 28% termina il ciclo universitario, contro una media Ocse che si attesta al 44%. Posto che i nostri ragazzi non sono intellettualmente meno dotati dei coetanei europei o antropologicamente meno capaci di concludere un percorso di studi, è evidente come il vulnus sia nella carenza di supporto orientativo. Intraprendere studi lontani da attitudini e interessi genera una frustrazione alla lunga insostenibile per molti studenti. Per contro, accompagnare lo sviluppo di consapevolezza delle reali attitudini e irrobustire la cultura della libera scelta condurrebbe ad una contrazione dei tracolli riportati e consentirebbe di liberare il potenziale di milioni di giovani.

Un buon orientamento aiuta a convogliare risorse motivate verso la molteplicità dei settori produttivi. La buona formazione dota queste risorse di competenze adeguate alle richieste del mercato. Un nuovo sistema formativo che sia allo stesso tempo formazione di massa (giovani e anziani), di specialisti e ricercatori, dovrà conoscere anche un’innovazione dei metodi didattici, di ricerca e di relazione docente-discente. Bisogna integrare teoria e pratica, scuola e lavoro, laboratorio sperimentale e studio individuale e collettivo. Deve essere superato il concetto di materia di insegnamento, di “cattedra” e di “classe” a favore di soluzioni interdisciplinari e di modalità flessibili e modulari di apprendimento.

Le “materie” del Ventunesimo secolo devono attraversare il lavoro, conducendo tutti i cittadini a uno stadio minimo di istruzione e formazione adeguato alle nuove sfide. Ci riferiamo a basi culturali che prevedono le discipline di riferimento per le moderne economie quali le tecnologie digitali, la matematica e l’intelligenza artificiale, l’ecologia, l’economia internazionale, il management delle filiere, la sanità e la biologia, la storia materiale e la filosofia contemporanea. Si punti sullo sviluppo del pensiero critico, della capacità di ragionamento e lettura dei fenomeni, abilità decisive per cavalcare e non subire i cambiamenti.


La dispersione scolastica è pari al 14,5%, una delle più alte in Europa
Oltre il 10% del mezzo milione di studenti che ogni anno si iscrive alle superiori non raggiunge il diploma
Abbiamo anche il record di Neet

Accanto alle conoscenze, il saper fare e il saper essere sono divenute capacità critiche per gestire la crescente complessità dei processi lavorativi. Sono competenze che si allenano e che qualificano, ad esempio, il segmento dell’istruzione e della formazione professionale (IeFP) caratterizzato da una forte componente esperienziale. Tra le prime 20 professioni più difficili da reperire, 13 rientrano nell’ambito della IeFP. Attraverso la didattica laboratoriale e la forte alternanza con le esperienze formative svolte in azienda questo segmento formativo consente di sviluppare competenze sia trasversali, sia tecnico e professionali di cui il sistema produttivo lamenta profonda carenza. Accanto a percorsi sempre più aderenti alle necessità delle imprese occorre potenziare gli apprendistati di primo livello, con una formazione specifica del tutor aziendale e del tutor formativo, una chiara identificazione e validazione delle competenze esperienziali, una condivisa e spendibile certificazione delle competenze acquisite. Come ogni investimento, un diploma, una laurea, una cer- tificazione sono tanto utili quanto bisognosi di manutenzione. La formazione continua è la migliore assicurazione nei tempi di burrasca, qualificata da contenuti aggiornati che equilibra la spinta tecno centrica con una visione più umano centrica e strettamente collegata alle applicazioni e all’innovazione in azienda. L’obiettivo è di collegare la formazione ai progetti innovativi. Le esigenze aziendali o di filiera devono essere il laboratorio applicativo della formazione continua.

L'opportunità di investire sul lavoro quale fattore strategico della ripresa ha evidenza economica: il valore aggiunto per unità di lavoro in Europa ed in Italia (nelle Regioni più avanzate) è tra i più alti al mondo, anche in ragione di un consistente stock di capitale disponibile. Il mercato del lavoro è il terreno su cui il moltiplicatore degli investimenti è più alto quale motore di quell’economia della conoscenza che qualifica ormai inesorabilmente il sistema produttivo italiano. Passi indietro rispetto alla capacità di alimentare costantemente e adeguatamente la “fabbrica delle competenze” ci condurrebbe alla depressione strutturale. Un’economia di trasformazione posizionata nella fascia alta delle produzioni e dei servizi è condannata a correre alla velocità dei migliori del mondo. Non abbiamo altro da proporre al mercato globale.


Il saper fare e il saper essere sono capacità critiche per gestire la complessità.
Si punti sullo sviluppo del pensiero critico, della capacità di ragionamento e lettura dei fenomeni, abilità decisive

Il Governo è chiamato a dare corpo all’intuizione del Fondo Nuove Competenze (art. 88 Decreto Rilancio 19 maggio 2020 n.34), non solo con risorse adeguate, ma anche con un sistema di governance che ne consenta la reale capacità di impatto. L’Italia è un Paese complesso che necessita di interventi partecipati. La fase della prima emergenza si è conclusa sin troppo semplicemente, ed è già il tempo di richiamare gli attori della società e dell’economia alle loro responsabilità.

Luigi Campagna docente MIP Politecnico di Milano

Marino Lizza managing partner WeCanJob.it

Luciano Pero docente MIP Politecnico di Milano

Roberto Rossini presidente nazionale Acli

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: