Una passerella giuridica per il passaggio dal canale dell'asilo al lavoro
venerdì 14 luglio 2023

La notizia ha qualcosa di strabiliante, e conferma l’aforisma secondo cui a volte sono i governi di destra a fare politiche di sinistra, e viceversa. Minniti e Gentiloni avevano risposto agli arrivi dal mare promuovendo il nuovo accordo con la Libia, che spara alle navi delle Ong e incarcera i profughi. Ora il governo Meloni ha approvato un decreto che prevede 452.000 ingressi di lavoratori immigrati in tre anni, oltre a 40.000 lavoratori stagionali in più rispetto alla quota fissata per quest’anno.

A parti invertite, ossia con un decreto del genere emanato da un governo di centro-sinistra, avremmo assistito a cori di proteste e dimostrazioni pubbliche contro l’invasione annunciata. Ma il fatto di non avere nemici a destra ha consentito al governo Meloni di prestare ascolto alle richieste delle forze imprenditoriali, che richiedevano oltre 800.000 ingressi, quasi il doppio. Come su altri dossier, la destra sovranista di governo mostra grande disinvoltura nel cambiare approccio e linguaggio rispetto alla destra sovranista di opposizione, che in realtà era la stessa, ma senza pagare un prezzo, apparentemente, in termini di consenso e popolarità.

Lo conferma il silenzio con cui è stato accolto il decreto, quasi si fosse dissolto il clima di paura che aveva portato a organizzare blocchi stradali in occasione dell’arrivo di qualche decina di rifugiati in accoglienza, anche quando si trattava di donne e bambini. Certo, la retorica governativa oggi distingue gli arrivi spontanei dei profughi, tuttora considerati una minaccia da contrastare, dagli ingressi programmati di lavoratori dall’estero, richiesti dal nostro sistema economico e dalle famiglie con carichi assistenziali. Archiviata la stagione del pericolo di sostituzione etnica, è pur sempre necessario tuttavia porsi qualche domanda.

La prima riguarda la gestione delle procedure: prefetture in affanno nel gestire la sanatoria del 2020, di cui a distanza di tre anni molte domande non sono ancora state esaminate, non appaiono propriamente preparate a rispondere in tempi rapidi a richieste di manodopera che non possono essere autorizzate dopo vari mesi, specialmente quando si tratta di manodopera stagionale. Ma c’è un'altra e più profonda questione.

La nuova politica degli ingressi per lavoro assomiglia un po’ troppo alla stagione dei lavoratori ospiti nell’Europa dello sviluppo post-bellico. Allora, quando emigravano gli italiani, i nostri partner settentrionali volevano le braccia ma non le persone, parafrasando il celebre aforisma dello scrittore svizzero Max Frisch. Vale a dire: governo e imprenditori si sono resi conto che i lavoratori immigrati hanno bisogno di servizi, e che dopo i lavoratori arrivano ineluttabilmente le famiglie, che richiedono abitazioni, scuole, interventi sociali?

Il decreto non dice nulla in materia di integrazione e politiche di accompagnamento. Come se, finita la giornata di lavoro, gli immigrati scomparissero, e non aspirassero appena possibile a richiamare i loro cari. Rimane poi il problema degli arrivi dal mare. Più del doppio dell’anno scorso a questa data (73.414 contro 31.333), mentre il governo con il decreto Cutro ha ristretto la possibilità di ottenere asilo. Ne deriverà la formazione di una massa di migliaia di nuovi immigrati irregolari, data la mediocre capacità di espulsione dimostrata fin qui dai nostri governi e gli ingenti costi che in ogni caso la detenzione e il rimpatrio coatto comportano.

Paradossalmente, si tratta in gran parte di giovani adulti desiderosi di trovare un lavoro, che dopo mesi in accoglienza, attendendo una risposta alla domanda di asilo, di solito hanno anche imparato un po’ d’italiano. Proseguendo sulla strada del realismo, il governo dovrebbe approntare una passerella giuridica per consentire il passaggio dal canale dell’asilo a quello del lavoro. Risolverebbe in un colpo solo due problemi: quello di fornire manodopera al sistema economico e quello di ridurre il prevedibile aumento della marginalità urbana. Ma forse una scelta così pragmatica andrebbe troppo oltre la pur notevole flessibilità ideologica del sovranismo all’italiana.

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