Nuovo governo: ora la forma sia sostanza
martedì 10 settembre 2019

«Io e i miei ministri prendiamo l’impegno a curare le parole, usare un lessico più consono e rispettoso delle persone, della diversità delle idee. Ci impegniamo a essere pazienti anche nel linguaggio, misurandolo sull’esigenza della comprensione; la lingua del governo sarà una lingua mite, perché siamo consapevoli che la forza della nostra azione non si misurerà con l’arroganza delle nostre parole».

È solo un passaggio del discorso programmatico che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha tenuto ieri in Parlamento. Eppure ci deve essere stato chi, ascoltando, ha condiviso un sussulto di speranza.

Fosse vero, ci siamo detti, nella mole di ambizioni del nuovo Governo. Fosse vero almeno che basta, con la neolingua sguaiata che da anni domina la comunicazione della politica. Quel misto di parole gridate, di slogan vuoti ripetuti con ossessività da stalkers, di accuse e insulti – bugiardi, buffoni, traditori – equanimamente scambiati fra leader, che il giorno dopo sembrano di nuovo amiconi. Basta con la neolingua trasportata dai social come un fiume in piena, in cui ciascuno butta il suo sasso, senza pensare a cosa le parole, che sono cosa viva, generano. Sono tempi in cui non c’è più nemmeno bisogno del microfono di un giornalista per dire la propria, ma basta auto-inquadrarsi nello smartphone e dare fiato alle viscere – ritenendo, così, di parlare al "popolo".

Popolo, non inteso come l’insieme dei cittadini di un grande Paese, ma invece massa un po’ ignorante, popolino cresciuto a tv commerciale, pochi libri, un gratta e vinci in tasca per sperare, e un cinismo che si allarga e contagia la vita comune. E sì, certo esiste questa fetta di italiani che si contenta di frasi stantie, di ragioni non date, di gesti che consolidino una superficiale 'appartenenza' italica. Credendo, come mesi fa disse il cardinale Bassetti, «che tutti debbano schierarsi per l’uno o per l’altro, comunque contro qualcuno: nel segno di un linguaggio imbarbarito e arrogante».

La preoccupazione per una simile neolingua è costante in questo giornale, e ancora pochi giorni fa un fondo del direttore domandava la dismissione dei toni tracotanti nella politica, «un misto di arroganza e di insulto volgare, di sprezzo e di disprezzo». Ciò a cui ci siamo abituati ormai da anni, anche se il vertice della aggressività si è toccato nei lunghi mesi del penultimo ibrido Lega-5 Stelle, dove ogni giorno volavano gli stracci, fra alleati per giunta, e ai cronisti liberamente e responsabilmente critici – oggi gratificati di rispetto e di impegni per la difesa del pluralismo – venivano riservate invettive, sanzioni e tagli al fondo per l’editoria...

Siamo alla fine di una bollente estate di straparole al vento, di petti nudi a evocare virilità nonché altre patrie memorie, di tweet buoni per lanciarli al bar Sport, credendo di gonfiare il consenso del 'popolo'. Invece, come una bolla che scoppia del suo stesso gonfiore, qualcosa si è spezzato. Forse anche un tacito sfinimento degli italiani, sommersi dal frastuono a ogni tg? Fosse vera, la promessa di Conte, non sarebbe cosa marginale: la forma è sostanza, fra gli uomini, e il modo, il tono, il rispetto con cui parli all’altro sono già il segno di chi è quell’altro, per te.

Conte ieri ha ricordato le parole di Saragat all’Assemblea costituente: «Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano, la democrazia non è solo un rapporto tra maggioranza e minoranza (…), ma è soprattutto un problema di rapporti fra uomo e uomo». Un volto umano da ritrovare. Anzi, da insegnare a chi ha vent’anni, e può credere che politica sia invece scontro tra falangi astiose, gara a chi offende di più. Parole, schiuma di parole roboanti senza niente dentro. E perché mai questi ragazzi dovrebbero trovare la politica interessante? Non più di una rissa allo stadio, se è tutto qui. Se non si scorge fra le righe una volontà di bene, di vita, di costruzione comune. Come sapevano quei padri costituenti che, pur con i loro umani limiti, dalla memoria del disastro trassero, solida, la speranza di un Paese nuovo.

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