L’ora di farsi in quattro per la famiglia senza antagonismi e senza paure
mercoledì 6 luglio 2016

Caro direttore,condivido le riflessioni di Francesco D’Agostino su «Per la famiglia, dopo le unioni civili. L’ora di farci in quattro» (Avvenire, 15 giugno 2016) e ripeto qui quanto scrissi già a "Settimana-Edb" circa l’ipotesi di un referendum contro la legge Cirinnà. Domenico Rosati, su quella rivista, aveva invitato a riflettere bene prima di decidere. A mio parere, per noi cristiani, sarebbe meglio: accettare l’esistenza di una legge simile sulle unioni civili, pur non condividendola del tutto (personalmente ci vedo anche l’eco di una certa massoneria e del "Manifesto" di Marx); dare tempo al tempo: la storia dirà se sarà meglio o no la famiglia "tradizionale" o quella "moderna" per la società italiana e non solo; intanto noi cristiani continueremo a camminare e a migliorare sulla traccia del Vangelo e di papa Francesco; vengano riconosciute a tutti questa libertà e l’obiezione di coscienza ai sindaci in occasione della "celebrazione" delle unioni civili (almeno di alcune di queste). Voler abrogare una legge civile è molto rischioso, forse anche inutile e controproducente (non sono le pur necessarie leggi a cambiare teste e società): meglio impegnarci di più sulla strada di cui siamo seriamente convinti e che possiamo anche rendere migliore per il bene comune e per la stessa Chiesa. Tutto con la mite forza e la luce dello Spirito.

Don Giovanni Giavini, Milano


Gentile direttore,mi permetto di aggiungere una glossa all’editoriale «Per la famiglia, dopo le unioni civili. L’ora di farci in quattro» del professor D’Agostino ("Avvenire" del 15 giugno 2016). Io credo che ormai i veri cattolici devono prepararsi al martirio perché le belve che si preparano a sbranarli si stanno già affilando i denti. Oh, non certo i poveri leoni, che chiedono solo di essere lasciati in pace nelle loro savane, ma i nostri rappresentanti, eletti da noi stessi in Parlamento, che varano norme contrarie, non solo alla legge di Dio, ma anche al buon senso naturale e antropologico e non occorre che gliele elenchi perché lei le conosce meglio di me. E molti di costoro si professano anche cattolici e hanno l’improntitudine di chiedere il voto di coloro che, come me, ritengono di dover obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Temo che andremo incontro al dileggio, all’insignificanza sociale e politica, forse anche alla perdita del lavoro, perché in questo si concretizzerà il martirio dei cattolici del XXI secolo che vorranno opporsi a certe leggi nefande. Mai come in questo momento storico abbiamo il bisogno dei sette doni dello Spirito Santo ed io per questo prego.

Carla Ungaretti, Roma


Caro direttore,sono un contadino di 76 anni suonati, nonché nonno di 3 nipoti che mi amano e il prossimo anno se Dio vorrà farò il 50° di matrimonio con mia moglie. Provengo dalla Giac (la Gioventù italiana di Azione Cattolica) come Delegato aspiranti. E ho vissuto molti campi scuola. Ho ricevuto tanto dalla Chiesa, e a mia volta ho cercato di restituire alla comunità, nel sindacato, nella politica, nel mio lavoro, nel tentativo di svolgere un servizio utile, con impegno e disinteresse. Sono abbonato da anni ad Avvenire che trovo serio e molto formativo. Mi ritengo un cattolico laico, niente affatto clericale. La Costituzione per me è la base del vivere in questo nostro Paese, in pace con molti che hanno idee diverse dalle mie e ricordando sempre che tanti italiani hanno dato la vita perché fosse così. L’attuale presidente del Consiglio a differenza di qualche suo predecessore, vive con coerenza il suo matrimonio. Ha giurato sulla Costituzione, perciò con altrettanta coerenza cerca di rispondere alla nostra realtà sociale. Devo dire che non capisco quei cattolici che, riferendosi alle unioni civili, parlano di «legge criminale» e magari confondono questa legge con la questione dell’utero in affitto, che è un’altra cosa. A Cesare quel che è di Cesare. Ma cosa vogliono? Forse uno Stato confessionale? Penso che siamo fuori dalla strada del Concilio che ha detto: «A nessuno sia impedito di credere e nessuno sia obbligato a credere». Questa polemica non la condivido, non la capisco e non mi pare giusta. Se non erro, anche De Gasperi, in politica, ha esercitato la sua responsabilità di laico cattolico agendo in coscienza (ben formata) e la storia mi pare che non gli abbia dato torto. Auspichiamo, piuttosto, che ogni cristiano dia testimonianza di disinteresse assieme a tanti non credenti di buona volontà come auspicava il compianto Cardinal Martini e come sollecita con costanza anche "Avvenire" e come ha scritto il professor D’Agostino all’indomani dell’approvazione della legge sulle unioni civili. Con amicizia vera.

Antonio, un cristiano romagnolo piccolo piccolo



Queste tre lettere sono ugualmente intense e diversamente stimolanti. Ne sono grato ai lettori che me le hanno inviate: il caro e brillante don Giovanni Giavini, la gentile signora Ungaretti e un nostro fedele amico che mi chiede (e lo accontento) di farsi «piccolo piccolo». Confermano quanto sentita sia la materia familiare e quanto grave sia il ritardo nelle risposte e il rischio per le risposte sbagliate e incomplete che si continuano a dare. Dico subito, anche se potrà sembrare ovvio, che condivido anch’io le acute e sagge riflessioni che il professor D’Agostino ha vergato a caldo, ma non senza attenta valutazione e, come sempre, in dialogo forte con me e con i colleghi che assieme a me costruiscono ogni giorno l’informazione di “Avvenire” e articolano la nostra opinione sui fatti meritevoli di commento. Se non le avessi condivise, del resto, non le avrei titolate come le ho titolate e proposte in prima pagina. Esse, infatti, non sono un episodio, ma la continuazione di un ragionamento e di una battaglia culturale d’indubbia rilevanza sociale e politica che, a più firme e voci, e con la stessa lucida passione, conduciamo da tempo su queste colonne. In forma propositiva, chiedendo – in attuazione del dettato costituzionale – che si dia finalmente giusta attenzione alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, che si rispetti il diritto di ogni figlio alla cura materna e paterna nonché alla ragionevole tutela dell’identità (e della genealogia), impegnandoci per denunciare e far finire la vergognosa pratica del commercio del corpo delle donne (e di gameti femminili e maschili) per “produrre” figli per altri, spendendoci per sollecitare il legislatore a garantire a chiunque indiscutibili diritti personali e di relazione senza però fare indebite confusioni tra matrimonio e convivenze di diverso tipo. Purtroppo, come sappiamo, non è andata esattamente così. Eppure, giova ripeterlo, in Italia non è stato introdotto il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ci sono parti della legge cosiddetta Cirinnà male (e maliziosamente) congegnate, ma le nozze gay sono un’altra cosa. Chi dice che quelle «nozze» ci sono già, sbaglia a sua volta, perché prepara la strada a quell’esito (come se non bastassero le spinte lobbistiche) e paradossalmente incentiva letture estensive della normativa sulle «unioni» appena varata. E vorrei dire alla cara signora Ungaretti, che non bisogna avere paura di vivere da cristiani, non bisogna temere di essere segnati a dito. Soprattutto non possiamo consegnarci all’incubo di finire, in quanto cristiani e cattolici, fuori gioco, assediati, marginalizzati… Non è così, noi siamo molto più fortunati dei nostri fratelli che sperimentano davvero il martirio. Nessuno, in questo Paese, può chiuderci in un angolo. Solo noi possiamo, metterci fuori gioco e scaraventarci ai margini della vita e del dibattito pubblico per alterigia, pigrizia, supponenza o pavidità. È invece proprio il momento di «farci in quattro», come recitava quel titolo. Siamo qui, ora, questo è il nostro tempo e questo è il Paese di cui siamo cittadini – anzi, come ama dire il nostro Presidente della Repubblica, concittadini (e quel «con» è davvero fondamentale). E qui e ora ci tocca di vivere da cristiani e di rispettare la verità (che sappiamo riconoscere con la ragione e che ci abita grazie alla fede che abbiamo ricevuto). Abbiamo da vivere, testimoniare, batterci in modo buono, chiaro, rispettoso di tutti e, come ci raccomanda papa Francesco, «attraente». Ci riconosceranno, Gesù è chiarissimo su questo, per il “come”. La sfida, anche per me, è di non dimenticarlo mai.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI