martedì 17 giugno 2025
Lo sforzo che papa Leone chiede a tutti i credenti è quello di una più profonda evangelizzazione reciproca. Lasciarsi cioè interrogare dai «poveri che sono i fratelli e le sorelle più amati»
Clochard in una grande città italiana

Clochard in una grande città italiana - IMAGOECONOMICA

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No, neanche quest’anno la povertà è stata sconfitta. Neppure con l’aumento dell’occupazione. Anzi, per molti versi la miseria cresce. Cronicizza. Si conferma ereditaria. È sempre più multiforme. E perciò chiede risposte sociali mirate e insieme integrate. Sollecita i credenti a nuovi approcci, nuovi impegni, una diversa considerazione.
Le cifre che descrivono questa realtà in pochi tratti emergono dal Rapporto statistico della rete Caritas. Lo scorso anno le persone accolte e sostenute dai Centri di ascolto sono state poco meno di 280mila, il 3% in più rispetto al 2023, ma soprattutto in crescita del 62% rispetto a dieci anni fa. Aumentano e sono oltre un quarto degli assistiti coloro che si trovano in “uno stato di disagio stabile e prolungato”. Quasi due terzi di chi chiede aiuto è costituito da figure di riferimento di interi nuclei familiari, la gran parte con figli minori. E ancora, il 23,5% di chi viene aiutato un’occupazione ce l’ha, ma non gli basta per vivere o sostenere la famiglia. È quel che si dice un “lavoratore povero”.

Se si è rivelata una costosa illusione pensare di sconfiggere la povertà solo introducendo il Reddito di cittadinanza (peraltro mal tarato sui bisogni reali), altrettanto illusorio era ipotizzare che la situazione potesse migliorare cancellando l’universalità dell’assistenza e dimezzandone i potenziali beneficiari.

Non è sufficiente a risolvere i problemi stimolare una maggiore disponibilità delle persone sul mercato del lavoro se non si accompagna adeguatamente queste stesse persone, se non ci si fa carico delle loro situazioni complesse. Che non riguardano solo l’aspetto dell’occupazione o del reddito, ma investono l’emergenza casa, le cure mediche, la condizione di disabilità propria o di un figlio, i deficit educativi e di istruzione, il riconoscimento dei diritti. Occorre sempre più una “presa in carico” complessiva dei singoli e delle famiglie. Ecco, qui sta la chiave di tutto.

Ci sono i numeri che descrivono una realtà e le storie che la esemplificano. E poi ci sono le coscienze, di uomini e di credenti, che quella stessa realtà la devono assumere. Battendosi per migliorarla, certo, ma al tempo stesso lasciando che questa penetri nel profondo e operi un cambiamento in sé stessi, una vera conversione. È ciò che ha chiesto papa Leone XIV nel messaggio diffuso venerdì scorso per la Giornata mondiale dei poveri che sarà poi celebrata il 16 novembre. Sottolineando come i poveri debbano «tornare al centro dell’intera opera pastorale della Chiesa».

Non semplici oggetti passivi di opere di carità, ma protagonisti di un progetto di giustizia sociale che sappia immaginare nuove istituzioni, politiche e strutture di intervento per rispondere ai bisogni e sanare le cause di diseguaglianze, miserie materiali e sociali. Per il cristiano, però, l’attivismo politico-sociale non è sufficiente. La carità, intesa come amore per il prossimo, non è completa se non cerca di superare anche «la peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri: la mancanza di attenzione spirituale», scrive ancora il Papa. «Perché la povertà più grave è non conoscere Dio».

Agli sportelli Caritas, nelle migliaia di Centri di ascolto, nelle San Vincenzo, nelle parrocchie, questa preoccupazione è ben presente. Ma lo sforzo che oggi papa Leone chiede a tutti i credenti è quello di una più profonda evangelizzazione reciproca. Lasciarsi cioè interrogare dai «poveri che non sono un diversivo per la Chiesa, ma i fratelli e le sorelle più amati perché ognuno di loro provoca a toccare con mano la verità del Vangelo». Ed essere, al tempo stesso, testimoni e annunciatori di una “buona notizia”, di una speranza che non delude perché fondata oltre noi stessi, i nostri limiti. La povertà più dura, infatti, è quella di chi è privo anche della speranza. Ed è questa mancanza che, anzitutto, siamo chiamati a colmare.

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