domenica 19 settembre 2010
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Il Papa e il male. Quello che si mostra, cocente, nella sofferenza dei bambini. Quello che ci scandalizza in modo intollerabile, e ci fa dubitare di Dio; quello stesso, di cui discutono i fratelli Karamazov quando Ivan rabbiosamente dice ad Alëša che nessuna armonia superiore vale le lacrime di una sola bambina torturata.  E’ questo il male cui si riferisce Benedetto XVI quando dolentemente nella cattedrale di Westminster ricorda le «immense sofferenze causate dall’abuso dei bambini, specialmente nella Chiesa e da parte dei suoi ministri». Come già nella lettera ai cattolici d’Irlanda, Benedetto dice il suo profondo dolore. Come nel dialogo con i giornalisti nel viaggio verso Edimburgo, sembra affiorare fra le sue parole l’eco di un umano sgomento, se a tradire così tanto sono stati uomini che avevano promesso di essere la voce di Cristo: «Come un uomo che ha detto e fatto questo possa poi cadere in questa perversione, è difficile capire», aveva detto - quasi egli stesso attonito di fronte alla umana capacità di male.Ma nella cattedrale di Westminster Benedetto indica, iniziando l’omelia, il grande crocefisso che domina dall’alto la navata: «Cristo schiacciato dalla sofferenza, sopraffatto dal dolore, vittima innocente». E’ all’ombra di quel crocefisso che il Papa a Westminster affronta lo scandalo del dolore innocente: che è quello di Ivan Karamazov, e dei bambini violati da sacerdoti indegni - e anche dei milioni di bambini oggi nel mondo venduti, comprati, fotografati.  E’ dentro il mistero della passione di Cristo che Benedetto colloca la sofferenza dei bambini. Passione che continua nei nostri dolori, ricorda, usando le parole di Pascal (Cristo continua a essere in agonia, fino alla fine del mondo). In quella "agonia" che, secondo Paolo, completa nella carne degli uomini ciò che manca alle sofferenze di Cristo, si colloca il libero e accettato sacrificio dei martiri. Ma anche, aggiunge il Papa, la sofferenza silenziosa dei malati e dei vecchi. E dentro la memoria dell’agonia di Cristo Benedetto va col pensiero ai figli profanati, alla loro innocenza tradita. Come fossero agnelli, dell’Agnello misteriosamente compagni. («Come voi, egli porta ancora i segni del suo ingiusto patire», scrisse alle vittime degli abusi in Irlanda. E si commuove, nell’incontrarne a Londra alcuni altri). Compagni di dolore, ma anche, se lo vogliono,  di una più grande speranza. Perché è vero, come si legge nella lettera ai cattolici d’Irlanda, che «nulla può cancellare il male sopportato». Umanamente, è vero, nulla. Solo Cristo può toccare certe piaghe.Perciò il tornare del Papa sullo scandalo, sull’umiliazione e sulla vergogna, all’ombra del grande crocefisso di Westminster dice a chi ascolta che il più intollerabile tradimento, ciò da cui umanamente si esce distrutti, in Cristo non è più una condanna per sempre, ma entra in una logica - agli uomini oscura, altra da noi,  incomprensibile - in cui la morte non ha, tuttavia, l’ultima parola. Non sotto a quel Cristo, come è raffigurato nella cattedrale di Westminster: schiacciato dalla sofferenza, sopraffatto dal dolore, ma le cui braccia spalancate «sembrano abbracciare - ha detto Benedetto XVI ai londinesi - questa chiesa intera».
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