sabato 12 marzo 2011
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Vi è una parola, poligamia, che l’Occidente pronunzia quasi con repulsione in quanto evoca una lunga – e in molti Paesi ancora persistente – stagione di brutale sottomissione della donna, di ignobile sfruttamento sessuale, di manifesto disprezzo della persona umana. Nello stesso tempo, tuttavia, il termine antitetico, e cioè monogamia , appare profondamente in crisi nell’Occidente emancipato e "civile"; né mancano osservatori delle società occidentali che hanno introdotto – per un’oggettiva lettura della situazione del matrimonio in Occidente, e in riferimento ai suoi stili di vita – il concetto di poligamia successiva.In che senso? Da un primo punto di vista, al di là della formalizzazione del vincolo, sono sempre più numerose le convivenze pre-matrimoniali che in realtà tali non sono, perché è poi con altri che ci si sposerà (o si contrarrà una successiva convivenza); da un secondo punto di vista, sempre più frequenti sono in pressoché tutti i Paesi dell’Occidente le seconde (e talora le ulteriori) nozze che fanno seguito a separazioni e divorzi.Nonostante il carattere monogamico del matrimonio in tutti i diritti di famiglia dell’Occidente, nella realtà delle cose le nostre società stanno diventando "poligamiche", nella forma della poligamia successiva (e non contemporanea). Non a caso vi sono studiosi di Paesi arabi che ironizzano sulla concezione occidentale di monogamia, facendo notare – qualche volta non a torto – che la condizione delle prime mogli dei poligami di non pochi Paesi dell’Oriente (non cacciate di casa, ma mantenute e qualche volta anche rispettate dalle mogli successive) è di fatto migliore delle "prime mogli" dell’Occidente, spesso abbandonate al loro destino, in forme che ripetono l’antico istituto del "ripudio". E noi potremmo aggiungere quanto poco esaltante sia il destino di tanti "primi mariti" di reddito medio-basso ridotti sul lastrico (e spesso alla condizione di barboni) da separazioni e divorzi.Perché queste notazioni un poco, e volutamente, provocatorie? Per far comprendere agli uomini e alle donne dell’Occidente – e soprattutto ai giovani – la pericolosa china sulla quale si sta scivolando. Ciò che equivale, in altri termini, a tessere una sorta di elogio della monogamia: necessario perché nel nostro Occidente, anche in Italia, essa è diventata, se non propriamente una rarità, un fatto non generalizzato (al di là della persistente, e del resto opportuna, delegittimazione giuridica della poligamia). Dove sono ormai le antiche, anche se un poco mitizzate, «donne di un solo marito» e, ancor più, gli «uomini di una sola moglie» della Roma antica, e poi della Roma cristiana, come tali elogiate ed eleogiati nelle epigrafi che ancora si possono leggere nelle austere sale dei Musei di arte antica?Nella nostra società si sta diffondendo, quasi sempre senza un’adeguata consapevolezza, una mentalità poligamica che per molti fa del rapporto uomo-donna un processo a tre tappe: quella iniziale di una prima relazione; quella del matrimonio della giovinezza; quella delle nozze della piena maturità, punto di arrivo di un lungo percorso sentimentale e sessuale… Occorrerebbe riflettere maggiormente – anche dal punto di vista sociale – su questa mentalità emergente e sulla vera e propria deriva che ne consegue. Che il matrimonio sia «per sempre» è spesso, purtroppo, un auspicio e una speranza, piuttosto che un dato di fatto; ma che il matrimonio sia semplicemente «una tappa», alla quale altre ne seguiranno, immette nella società un elemento di incertezza, di precarietà, di instabilità che si aggiunge ai molti altri che di per sé provengono da una società industriale caratterizzata strutturalmente dal "tempo breve", dalla rapida obsolescenza, dal costante primato del nuovo sull’antico (e dunque anche dei "nuovi amori" nei confronti dei "vecchi"…). Quello del matrimonio in Occidente è dunque un caso serio. Varrebbe la pena che ad esso si ponesse mente soprattutto sotto due profili: quello dell’educazione dei giovani all’amore e quello delle politiche sociali a sostegno di una famiglia troppo spesso abbandonata al suo destino.
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