L'obiezione di coscienza bene prezioso per chi crede e più ancora per chi non crede
sabato 25 febbraio 2017

Caro direttore,

la notizia di un bando “ad hoc” per l’assunzione di due ginecologi destinati ad eseguire interventi di aborto al San Camillo di Roma e quella, a distanza di pochi giorni, di un siffatto bando per reclutare due biologi da impiegare nella manipolazione in laboratorio di embrioni umani durante i processi di procreazione medicale all’ospedale di Trecenta (Rovigo), dovrebbe provocare una ponderata riflessione sociale e politica di natura fondativa per una democrazia reale, capace di superare precomprensioni e schieramenti nella ricerca e nella edificazione del bene comune. Al di là delle giuste e molto opportune osservazioni critiche sui profili di legittimità di questi provvedimenti amministrativi sanitari, il dato emergente che una maggioranza molto ampia dei medici ginecologi italiani (oltre l’80%, in alcune regioni) e un gran numero di biologi che operano in campo clinico siano contrari a togliere la vita ad un feto nell’utero materno o a sostituirsi biotecnologicamente alla madre nel compito di concepire e far sviluppare per alcuni giorni un embrione umano, eventualmente anche arrestandone lo sviluppo con la crioconservazione, dovrebbe far sorgere alcune domande. Perché, in “scienza e coscienza”, queste donne e questi uomini – laureati in discipline che per statuto professionale sono al servizio (individuale e sociale) della vita umana – si rifiutano di compiere simili azioni nell’ambito del proprio lavoro? Le loro ragioni professionali ed etiche non meritano forse di essere conosciute e prese in considerazione, a prescindere dal fatto che diano luogo al diritto di obiezione previsto dalle norme vigenti, nel formulare o rivedere le leggi che regolano l’interruzione volontaria della gravidanza e la fecondazione in vitro? Può, una società civile e una politica al suo servizio, non tenere conto di quello che la scienza e la coscienza degli addetti ai lavori hanno da suggerire alla ragione e alla responsabilità di tutti i cittadini e dei loro rappresentanti? Oppure le donne e gli uomini in camice bianco hanno uno statuto di lavoratori che li vede solo come “iatrotecnici”, meri strumenti-competenti al servizio di quanto i cittadini esigono dal Servizio sanitario nazionale e lo Stato concede loro?

Roberto Colombo, Università Cattolica

Caro direttore,

ho letto con interesse i vari interventi sul bando per i medici non obiettori al San Camillo di Roma. Vorrei a questo punto sottoporle alcune riflessioni nel merito: premetto che sono credente e ritengo la vita un valore. È vero l’obiezione è contemplata dalla legge, ma tale obiezione non provoca alcun problema a chi ne fa ricorso. Ricordo per motivi di età gli obiettori al servizio militare: quei ragazzi erano disposti ad andare in prigione per non rispettare una legge dello Stato! Mi dica lei quale problema, non dico prigione, affronta chi è obiettore. Non ha preclusioni di carriera e ha certamente meno impegni e “rogne” a livello professionale. Insomma non ci perdo niente, quindi obietto. Se paragono il numero di obiettori e lo confronto con il numero dei credenti praticanti in Italia il conto non torna... Forse è il caso che invece che strapparsi le vesti, per ciò che lo Stato è costretto a fare per garantire un servizio che è conforme alla legge, i veri credenti si facciamo un esame di coscienza sul senso di una vera obiezione di coscienza. Grazie per l’attenzione.

Marcello Monopoli, Ancona

Gentile direttore,

la Regione Lazio sostiene che la decisione del San Camillo di promuovere un bando per medici ginecologi non-obiettori, cioè disposti a praticare anche aborti non terapeutici, è inerente alla tutela delle donne. Anche noi pensiamo invece che il fine sia quello di attaccare il diritto all’obiezione di coscienza. Siccome i governanti della Regione Lazio sanno benissimo che circa il 40% delle donne che chiede di abortire lo fa per motivi economici, chiediamo alla Regione Lazio quali e quanti finanziamenti sono stati destinati per aiutare direttamente queste donne al fine di evitar loro il trauma dell’aborto...

Paolo e Luca Tanduo, Milano

Caro direttore,

Regione Lazio: bando di concorso pubblico per assumere due medici con le esclusive funzioni di sopprimere bambini con l’aborto alla faccia del Giuramento di Ippocrate! La scusa è che i medici abortisti sono pochi e non si riesce per questo a garantire la piena attuazione della legge 194. Ricordo a riguardo che alla luce dei dati estratti dalle relazioni annuali uscite dal Ministero della Salute sull’andamento della legge 194 non è assolutamente vero che i medici abortisti sono oberati di lavoro: infatti, si è passati da una media di 3,3 aborti a settimana nel 1983 agli 1,6 aborti a settimana nel 2013 per ogni medico non obiettore. Questo gridare al “super lavoro” dei medici abortisti è quindi solo il cavallo di Troia per cercare di attaccare il diritto all’obiezione di coscienza. Soddisfatto di questo bando Nicola Zingaretti governatore del Lazio, che dice: «Nel Lazio stiamo ricostruendo un modello sociosanitario all’avanguardia. Siamo impegnati a rafforzare i servizi di ascolto e prevenzione sul territorio e, nello stesso tempo, a garantire la libertà di scelta e la salute della donna, della coppia e del bambino, applicando in modo corretto la legge 194 e limitando l’abuso dell’obiezione di coscienza». Che strana dichiarazione quella di Zingaretti che con l’aborto garantito afferma di voler tutelare la salute della donna, della coppia e del bambino quando invece con l’aborto si ferisce una mamma, si disgrega (se tale non è già) la coppia e si uccide il bambino, e dice di voler garantire la libertà di scelta della donna togliendo però ai medici la libertà di coscienza e di obiezione.

Giorgio Celsi, Infermiere

Caro direttore,

mi è capitato di ascoltare il programma di Radio3 “Tutta la città ne parla” di giovedì 23 febbraio che ha affrontato la questione sollevata dalla decisione dell’Ospedale San Camillo di Roma di assumere solo medici non obiettori per garantire il «diritto di aborto» previsto dalla Legge 194/78. Anche se quella legge, che ho letto interamente, pur depenalizzando l’aborto, non stabilisce affatto un tale «diritto», mentre riconosce in modo inequivocabile il diritto all’obiezione di coscienza dei medici. Mi ha sconcertato il modo con cui è stato affrontato il problema: una sola voce in difesa dei medici obiettori, a fronte di tre contro, con telefonate degli ascoltatori ugualmente a senso unico. I casi sono due: o gli ascoltatori di Radio3 Rai sono tutti abortisti (e non mi sembra), oppure (come temo) i non abortisti sono stati esclusi. Purtroppo questo è il modo con cui sulle reti del servizio pubblico vengono oggi affrontati temi che richiederebbero almeno imparzialità. La cosa, però, che più mi sconcerta è che questa legge, dopo decenni, sia considerata «immutabile», e non nella versione reale, ma in quella di una vulgata politico-mediatica. Intanto, però, la scienza (quella vera) ha fatto notevoli passi nella definizione di chi sia l’embrione e del fatto che la sua uccisione sia l’uccisione di un essere umano! Se non si vuol rivedere la 194, allora la si rispetti anche dove dice (art. 2 comma d) che i consultori contribuiscono «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza». Vuoi vedere che la verità – che, come dice Gesù, «rende liberi» – per queste persone è un optional?

Carlo Comi, sacerdote, Bergamo

Gentile direttore,

ho letto con stupore le osservazioni di quei politici che hanno cercato di giustificare la forzatura della Legge 194 messa oggettivamente in atto nella Regione Lazio dal presidente Zingaretti attraverso un discutibile bando. Ci auguriamo che la Magistratura intervenga al fine di ripristinare la corretta osservanza della legge, garantendo un sereno equilibrio ed il rispetto di quanto previsto dalle normative. Considerazione banale: è come se un bando prevedesse esplicitamente il reclutamento di personale cattolico, musulmano, induista in un ente pubblico, al fine di garantire l’accesso a tutti. Es. in un ufficio postale lavora tutto personale calvinista? Si faccia un concorso per l’inserimento di un lavoratore cattolico! A chi parrebbe sensato? Certi politici dovrebbero piuttosto chiedersi perché molto del personale medico che lavora nelle strutture ospedaliere italiane scelga l’obiezione di coscienza. Facciano un giro tra le corsie d’ospedale, parlino con qualcuno e quando capiranno anche loro che in ogni aborto abbiamo a che fare con esseri umani (e non con “ammassi di cellule”) lo comprenderanno forse anche loro. La Legge 194, anche se per opposti motivi non è mai stato rimarcato abbastanza, ha alla base anche l’intento di prevenire l’aborto, non di favorirlo.

Federico Pizzi

Gentile direttore,

è fatto risaputo e non contestato che una parte del personale sanitario che obietta non è tale per motivi di coscienza, ma per non essere costretto a farsi carico di un eccesso di interventi di Ivg a scapito della generalità delle altre prestazioni inerenti alla professione. Espongo una proposta poco conosciuta nonostante da tempo sia stata fatta soprattutto dal circuito dei cristiani, che, pur essendo contrari all’aborto, hanno appoggiato a suo tempo la Legge 194: un emendamento a quella normativa con cui si ammette solo l’obiezione di coscienza del personale sanitario che accetti di fornire una prestazione periodica, gratuita e non formale (cioè adeguatamente controllata) a favore della collettività, preferibilmente in campo socio-assistenziale oppure socio-sanitario. L’obiettore testimonierebbe, con un impegno serio e permanente, la genuinità della sua scelta in quanto veramente motivata da un problema di coscienza. La proposta è fatta a tutti: al personale sanitario, al mondo cattolico nelle sue tante articolazioni, alle associazioni pro-life e ovviamente e, prima di tutti, ai parlamentari. Naturalmente anche ai vescovi. È opportuno ribadire, se mai fosse necessario, che ogni aborto pone sempre delle questioni etiche che sono ben diverse in relazione alle condizioni soggettive e oggettive in cui la donna si trova, sempre con difficoltà a decidere, spesso nella colpevole assenza del suo partner. Sicuramente la benevolenza e la misericordia, sulle quali abbiamo tanto riflettuto in questi mesi col magistero di papa Francesco, devono essere presenti in questi momenti difficili della vita della donna. Penso che i vescovi dovrebbero evitare di fare le barricate anche in questa vicenda. La vera vita di cui occuparci è quanto sta in mezzo tra l’embrione e lo stato vegetativo permanente.

Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa

Caro direttore,

da quando è stato presentato come una questione di autonomia – la facoltà e la libertà della donna di scegliere – l’aborto è diventato un problema privato, che la mentalità individualista non accetta venga messo in discussione. E così, come insegna la vicenda dell’ospedale San Camillo, passa in secondo piano perfino la libertà di coscienza (che così viene meno per tutti). Ma bisogna pur parlare d’aborto e farlo secondo verità. Papa Francesco ci mostra come fare nella lettera apostolica Misericordia et Misera, laddove ribadisce che l’aborto è «un peccato grave, perché pone fine a una vita innocente», e allo stesso tempo ricorda anche che è «un dramma esistenziale e morale» per le persone coinvolte. A cominciare dalle donne, alle quali il Papa si fa vicino. Racconta di averne incontrate tante «che portavano nel loro cuore la cicatrice per questa scelta sofferta e dolorosa». In questo modo indica il percorso di conversione solo dopo aver testimoniato quella compassione che porta “l’altro” a lasciarsi avvicinare e toccare dalla grazia. Per questo sono inaccettabili le pretese di rinchiudere (e, a volte, di rinchiuderci) noi cattolici in un quadro che ci dipinge come oppositori dei “diritti delle donne”. Né dovremmo sentirci obbligati ad affermare “i diritti dell’embrione” contro “i diritti degli adulti”, come se si trattasse di rivendicazioni in conflitto. Dobbiamo riconoscere, e batterci per far riconoscere, la sofferenza che sta dietro a tante storie. Partecipiamo al dolore per una decisione spesso frutto di condizionamenti, coinvolgiamo chi ne è rimasto vittima e, insieme, muoviamo da qui: per affermare i diritti di tutti i soggetti coinvolti – et-et , come anche lei, direttore, ricorda spesso non aut-aut – per esigere che la società tuteli sia la donna sia il bambino, garantendo a ogni nuova vita di poter venire al mondo e offrendo una vera alternativa alle donne spaventate da una gravidanza indesiderata o non programmata.

Martina Pastorelli, Catholic Voices Italia


Sono grato a tutti coloro che hanno deciso di ragionare con noi sul “caso serio” dell’obiezione di coscienza all’aborto (e, a Rovigo, all’obiezione di coscienza alla manipolazione della vita umana attraverso procedure di fecondazione artificiale e selezione embrionale) sottolineato con speciale forza dalla vicenda del bando per l’assunzione in un grande ospedale della Regione Lazio di medici ginecologi disposti a dichiararsi abortisti e impegnati, almeno per sei mesi, a effettuare perciò esclusivamente aborti, cioè non a curare e a far nascere, ma a distruggere la vita di bambini o bambine non ancora nati. Ho riunito qui sopra una serie di lettere e messaggi arrivati in redazione che rappresentano efficacemente un po’ tutti gli altri, e che considero utili per portare a fondo la riflessione nella giusta e dolorosa consapevolezza della tragica e pesantissima verità dell’aborto per tutte le persone coinvolte: la creatura umana «scartata», la madre che arriva a compiere una scelta così tremenda, il padre che assiste impotente o partecipe o non c’è perché è escluso o “in fuga” (e magari, proprio per questo, è causa del dramma in atto), e infine il personale sanitario che opera perché l’aborto avvenga. L’editoriale di Francesco D’Agostino che dedichiamo oggi a questo stesso tema mi permette di limitarmi ad aggiungere solo una notazione alle parole profonde e provocatorie (o entrambe le cose) che precedono queste righe. Da essere razionale e da cittadino di una grande democrazia, davanti a opzioni che motivatamente reputo improponibili perché assolutamente sbagliate posso dire no, perché ho lo scomodissimo scudo della coscienza da alzare, scudo che condivido (in molti casi, all’insegna dello stesso umanesimo positivo) con ogni altra persona che, comunque creda o la pensi, coltiva una serena e salda visione morale. Ma da cristiano e da cattolico ho pure la “consolazione” della mia fede, che può aiutarmi a illuminare tutto e a resistere a tutto, anche al cospetto delle pagine più nere e delle imposizioni più intollerabili. Dispongo, insomma, di risorse morali e spirituali che sono in grado (e dovrei sentire il dovere) di mettere in campo anche nel caso che si realizzi una compressione illiberale e odiosa del mio spazio di coscienza. Le stesse risorse, probabilmente, che alcuni – come i signori Monopoli e Bellavite – vorrebbero vedere ulteriormente e generosamente, ma anche onerosamente impegnate da parte di chi obietta... Chi non ha incontrato Cristo, chi non nutre una fede, chi non sente e cerca l’immensità di Dio «in interiore homine», ha comunque il foro della coscienza. Ha “solo” la coscienza. Che non si tacita mai, ovviamente. E però è un fatto: quanti lavorano per svuotare il diritto di obiettare minacciano una libertà fondamentale della persona umana, ma persino di più, in qualche modo, i non credenti. Anche per questo stento a capacitarmi della “normalità” rivendicativa (e un po’ moralmente vendicativa) di questo nostro tempo, nel quale da una sinistra che si dice solidale e progressista e da una destra che si proclama radicalmente liberale si levano in modo sistematico voci e si compiono gesti politici che sembrano non rendersi conto del fatto che attaccare, colpire mortificare e tentare di impedire l’obiezione di coscienza nei casi in cui essa ha pieno e riconosciuto diritto a manifestarsi e a “pesare” (come quando si tratta di aborto o di ogni altra offesa e manipolazione della vita umana) non umilia soltanto i credenti, ma è anche e soprattutto una minaccia per la libertà di tutti e una sorta di “bestemmia laica”.
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