Nuovi (e mai scontati) passi del dialogo con Pechino
giovedì 9 settembre 2021

La videochiamata fra Mario Draghi e Xi Jinping non era scontata, invece alla fine c’è stata. Doveva riguardare solo l’Afghanistan, invece si è parlato anche di altro. Il presidente Xi – hanno comunicato fonti ufficiali cinesi – ha auspicato che il G20, di cui l’Italia è quest’anno alla presidenza, aderisca al «vero multilateralismo», promuova «lo spirito di solidarietà e cooperazione», dia «giusta direzione» alla governance globale e aiuti a «lavorare insieme per affrontare le sfide comuni». Ha chiesto anche che l’Italia svolga un ruolo attivo nel promuovere «lo sviluppo sano e stabile delle relazioni Cina-Ue» e cercato la solidarietà italiana contro il boicottaggio delle Olimpiadi invernali del 2022 (richiamando quelle di Milano-Cortina nel 2026).

Molti messaggi insieme per molti interlocutori diversi, tanto che Palazzo Chigi ha precisato: «Non tutte le domande cinesi hanno avuto risposta». Ma esse rivelano una ricerca di dialogo con l’Occidente proprio mentre tanti attribuiscono alla Cina una concentrazione sull’Asia e il ritorno alla politica del Celeste impero che si circondava di Stati tributari. Una contraddizione, forse, ma anche un’opportunità. È un contesto che valorizza l’iniziativa di Draghi il quale, forte del suo sicuro atlantismo e del suo intenso europeismo, ha superato le perplessità americane e avvicinato la Cina a un’iniziativa comune sull’Afghanistan.

Prima di Draghi, su questa strada si è messo da tempo papa Francesco, che pochi giorni fa ha confermato in un’intervista alla radio spagnola Cope la necessità e la positività del dialogo con la Cina, malgrado problemi e difficoltà. Quasi a conferma delle sue parole, viene la notizia dell’ordinazione del nuovo vescovo di Wuhan – oggi famosa in tutto il mondo come luogo d’origine della pandemia di Covid-19 – senza titolare dal 2007 e dove nel 2011 l’ordinazione del sacerdote Shen Gouan, decisa dalle autorità e già fissata, fu 'sospesa' su richiesta della S. Sede. Ad accogliere la richiesta fu proprio Xi Jinping, allora vicepresidente e in quei giorni in visita in Italia. Il nuovo vescovo si chiama Francesco Cui Qingqi e svolgeva da tempo la funzione di responsabile della diocesi di Wuhan, occupando il ruolo di segretario diocesano e di vicario generale. Nato nel 1964 a Changzhi (Shanxi), è stato ordinato sacerdote nel 1991.

Durante l’ordinazione è stata annunciata ufficialmente l’approvazione papale e il direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni, ha confermato l’«ordinazione episcopale del reverendo padre Francesco Cui Qingqi, ofm, nominato dal Santo Padre vescovo di Hankou-Wuhan il 23 giugno 2021». La dichiarazione vaticana mostra che è stato anche superato l’ostacolo della divisione fra le diocesi Wuhan e di Hankou e sottolinea che «si tratta del sesto vescovo cinese nominato e ordinato nel quadro normativo dell’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi in Cina». Sembra inoltre che sarà riconosciuto a breve un vescovo 'clandestino' – Peng di Guanzhou, nello Jiangxi – mentre la prossima riunione per eleggere i vertici della Conferenza episcopale e dell’Associazione patriottica, non riconosciuti da Roma, non desta particolari preoccupazioni a differenza di quanto avvenuto nel 2010 e del 2016. Sono tutte notizie che confermano la progressiva stabilizzazione del rapporto tra Santa Sede e Cina sulla base dell’Accordo sottoscritto nel 2018 e rinnovato nel 2020: il cammino è lento, ma si procede e le ragioni di chi non voleva questa intesa si indeboliscono progressivamente.

Le parole del Papa sul dialogo con la Cina di qualche giorno fa hanno sollevato critiche e suscitato in alcuni commentatori – anche cattolici – la tentazione di insegnare al Papa il suo mestiere, come ha osservato ironicamente lo stesso Francesco. Ma la progressiva stabilizzazione dei rapporti fra Santa Sede e Cina, sembra mostrare che l’attuale pontefice sa fare piuttosto bene il suo mestiere. Se questa potenza globale è passata dalla politica di sostegno alla globalizzazione esposta da Xi Jinping a Davos nel 2017 alle chiusure attuali è anche perché gli occidentali – in primis gli Stati Uniti – l’hanno preceduta sulla strada delle chiusure e del conflitto. La Santa Sede, invece, è andata controcorrente e, se anche i risultati non sono eclatanti e permangono difficoltà, la stabilizzazione dei rapporti dopo l’Accordo del 2018 mostra una strada che altri potrebbero percorrere a beneficio della pace, della cooperazione mondiale, della lotta al terrorismo e di molto altro.

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