domenica 28 dicembre 2008
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In principio fu "l’onda perfetta". Quell’aggettivo, associato a quel sostantivo, evoca un mondo che a noi italiani suona un po’ esotico: quello degli appassionati del surf che girano il mondo alla ricerca dell’onda perfetta da cavalcare con la propria tavola. Un immaginario, reso famoso dal film ' Point Break', fatto di onde spumeggianti, di giovani uomini e donne coraggiosi e bellissimi che, come i paracadutisti, sanno dominare la natura, procurandosi un piacere esclusivo. Il tutto in un’atmosfera che riporta ad anni lontani e ci trasporta in panorami da sogno: che si tratti delle Hawaii o delle coste del Messico non importa. Fatta la doverosa premessa, torniamo alla fortuna che l’aggettivo perfetto/ perfetta sta trovando nella comunicazione. È come se, all’improvviso, pubblicitari, titolisti di giornali e comunicatori di ogni specie, avessero trovato l’aggettivo ' perfetto' ( scusate il gioco di parole) per esprimere lo spirito del tempo. E tutto appare assolutamente irrituale, proprio perché la nostra epoca è dominata dall’incertezza. Basti pensare alla crisi finanziaria globale, questa sì una tempesta ' perfetta', per avvertire più gli scricchiolii e la precarietà della società capitalistica che il sottofondo sociale rassicurante di una sola certezza. Tutto è in discussione: dalla sicurezza del lavoro alla tenuta del reddito individuale, dalla capacità delle istituzioni di governare i processi alla forza delle strutture educative a fronteggiare le spinte asociali, dalla possibilità di autoriformarsi senza strappare la tela comunitaria sino alla concreta opportunità di consolidare la stima reciproca fra tutti i soggetti che concorrono alla vita pubblica. Non è un caso, infatti, che si torni a parlare di questione morale e che si invochino a gran voce due riforme, quelle della giustizia e del federalismo, chiamate a rinnovare dal profondo l’assetto della nostra comunità nazionale. Il linguaggio, in questo caso, è come se volesse implicitamente trasmettere un tasso di rassicurazione: guardate, il mondo è davvero complicato e disordinato, eppure è ancora possibile costruire qualcosa di ' perfetto'. Certo, la fantasia dei comunicatori è limitata. Spesso non sa superare la dimensione consumeristica, ovvero del prodotto e del mercato. Ma come spesso accade nei circuiti comunicativi, è come se fosse partita un’onda che si andrà a rifrangere in ogni angolo dello spazio dell’immaginario. Di sicuro, sul tema della perfezione, davvero si possono scontrare sensibilità molto diverse. Basti pensare alla retorica della perfezione e alle sue perversioni in chiave eugenetica, ma anche agli ideali di perfezione che hanno accompagnato tanti tragitti educativi, molto vicini alle sensibilità spirituali. Per non parlare delle suggestioni dell’arte, dalla Gioconda alla ' città ideale' dell’Anonimo fiorentino. Ma fa stupore che una spinta alla perfezione si faccia strada, sia pure solo a livello comunicativo, in un mondo che ha eretto l’imperfezione, intesa come trasgressione, a forma privilegiata dell’esistenza e a cifra distintiva degli stili di vita. È come se una nostalgia venisse evocata dall’incertezza dei tempi e riportasse in superficie un bisogno di rassicurazione che si coniuga con l’aggettivo ' perfetto'. E che ha un gemello ' perfetto' in un sostantivo che è tornato a occupare prepotentemente il discorso pubblico, soprattutto nel nostro Paese: ' valori'. È davvero il caso di prendere atto che non c’è nulla di più contundente di una crisi ' perfetta' per riportare i ' valori' al centro dell’azione, pubblica e privata.
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