martedì 24 maggio 2011
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Ariosa ed equilibrata, la prolusione del cardinal Bagnasco ai lavori della 63ª Assemblea gene­rale della Conferenza episcopale italiana tocca tut­ti i temi della più stretta attualità, sottoponendoli a una lettura in cui la pur corretta dimensione cro­nachistica appare subordinata all’esigenza di una ben più profonda analisi 'sapienziale'. Gli ampi ri­ferimenti alla beatificazione di Giovanni Paolo II hanno appunto questa finalità: indicare come la santità si radichi, prima ancora che nel fare «cose strabilianti», nella credibilità della testimonianza cristiana, il baricentro della quale sta nella conver­genza di teocentrismo e antropocentrismo. Inse­gnando e operando in questa direzione, ha soste­nuto il presidente della Cei, Giovanni Paolo II si è po­sto in quella che è la «dorsale principale» del Con­cilio Vaticano II, un mandato al quale dobbiamo tut­ti sentirci vincolati.A questo tema iniziale fanno seguito tanti altri, tra cui spiccano in particolare la conferma della riso­luta intransigenza assunta dalla Chiesa nei confronti degli abusi sessuali compiuti da chierici (uno «stra­zio indicibile») e le amare considerazioni conclusi­ve su quello che doveva essere, in Libia, un intervento umanitario e che sta invece provocando gravissime perdite di vite umane: «Difficile non convenire – di­ce il cardinale – che nel concreto non esistono in­terventi armati puliti». Al centro della prolusione si pone, e non poteva es­sere altrimenti, una sofferta riflessione sul momen­to politico che sta attraversando l’Italia di oggi. Le parole del cardinal Bagnasco sono ferme e severe. «Non ci sono scusanti», egli dice, per la crisi di im­pegno, di progettualità, di vigilanza critica che ca­ratterizza il momento attuale. Ciò non di meno, ab­biamo il dovere di non trascurare le tante forze po­sitive che sono all’opera nel Paese, dalle quali dob­biamo augurarci che provenga una nuova genera­zione di politici cattolici, capace di votarsi a quella «complessa arte di equilibrio tra ideali e interessi» che è la politica, secondo la definizione dello stes­so Benedetto XVI. La Chiesa farà la sua parte, nel più puro spirito della sua missione, per sostenere questo sforzo generativo. E qui il discorso del cardinale entra nel vivo, rile­vando come siano presenti anche in Italia forze so­stenitrici di un individualismo esasperato, incapa­ce di percepire il carattere necessariamente rela­zionale della persona umana: forze che mirano a frantumare ogni «alleanza virtuosa» tra umanesimo laico e cattolicesimo, ingiustamente presentato co­me una forza ostile alle dinamiche della modernità. Nel denunciare queste deformazioni ideologiche, le parole del presidente della Cei sono non solo chia­rissime, ma teoreticamente precise: annunciando il Vangelo, la Chiesa «più che avversaria della moder­nità ne è l’anima», proprio perché proclama la di­gnità della persona, l’eguaglianza di tutti gli uomi­ni e il valore incommensurabile della libertà. Della modernità essa custodisce «gli ingredienti di base». È su questo punto, più che su qualsiasi altro, che de­ve incentrarsi la riflessione di tutti ed è su questo punto che si radicano gli altri temi della prolusione: la famiglia, il lavoro, la scuola, l’ordine delle gene­razioni, l’immigrazione, la probità dei costumi pub­blici e privati. Lo stesso auspicio che si arrivi a una sollecita approvazione della legge sul «fine vita» va letto in questo contesto di ferma opposizione al­l’individualismo, che, nelle questioni di bioetica, si trasforma inevitabilmente nell’abbandono tera­peutico, ancorché sottilmente mascherato, dei mo­renti e più in generale dei soggetti più deboli e più fragili. Non è difficile, quindi, individuare il segno riassun­tivo di questa prolusione, che potrebbe anche esse­re espresso con toni ben più accesi e provocatori di quelli, fermi, ma pacati che usa il cardinale. La pro­lusione si conclude, giustamente, con una preghie­ra che anticipa quella per l’Italia nel 150° dell’unità politica che si terrà solennemente giovedì prossi­mo. Anche questa è una preghiera alla Madonna, altissima icona di una relazionalità che consiste nel­l’andare verso l’altro «nel segno della gratuità e del dono»: parole chiave di un’etica universale, della quale, oggi, la Chiesa appare come l’unico, credibi­le promotore e motore.
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