martedì 17 febbraio 2015
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C’è da sperare che nessuno prenderà sul serio l’invito rivolto da Netanyahu agli ebrei d’Europa a far fagotto e a trasferirsi in Israele perché l’Europa conoscerà ancora altri attentati. C’è da sperare che sia considerato solo come un gesto propagandistico elettorale dell’attuale premier israeliano, e nulla di più. Perché, se così non fosse, sarebbe null’altro che un invito a sparire rivolto alla Diaspora europea. Insomma, dopo duemila anni e infiniti rivolgimenti, dopo pogrom e rivoluzioni culturali come quella indotta dall’emancipazione, dopo il sionismo e l’emigrazione nelle Americhe, dopo la Shoah, gli ebrei d’Europa dovrebbero lasciare le terre in cui vivono da duemila anni perché ci sono stati degli attentati. Attentati terribili, certo, segni di una crescita dell’antisemitismo e di un’aggressività sempre più forte del terrorismo islamico dell’Is, in una situazione difficile e complessa, ma pur sempre alcuni episodi di violenza. Una violenza, inoltre, che non è rivolta solo agli ebrei, anche se vede in loro la quintessenza della civiltà occidentale, ma che colpisce anche altri simboli della libertà occidentale, da quella di pensiero a quella di satira all’uguaglianza tra uomini e donne, come le recenti vicende purtroppo ci dimostrano. Proviamo a immaginare un’Europa senza ebrei: cittadini dei Paesi europei da duemila anni, sia pur con alterne vicende di espulsioni e migrazioni, e in ogni caso cittadini europei a pieno titolo dopo l’Emancipazione; fermento di diversità culturale, di simbiosi intellettuale, di crescita e di trasformazione. L’Europa cristiana non sarebbe stata la stessa senza la presenza di questa minoranza nel suo seno, nonostante l’inferiorità codificata in cui è stata mantenuta.E ancora, il grande slancio culturale e sociale dell’Otto-Novecento, l’apporto alla scienza, alla letteratura, alla medicina, alla filosofia. Simboli del Male per Hitler e i nazisti, eppure sopravvissuti allo sterminio, pronti a ripopolare l’Europa oltre che la terra d’Israele, presenti nel mondo delle società in cui vivono, cittadini europei. Hanno versato il sangue per i loro Paesi nel corso della prima guerra mondiale, hanno lottato contro il nazismo nella seconda, hanno dato un contributo essenziale alla crescita della democrazia e della libertà in Europa. E ora, tutta questa storia piena di contenuti e di senso andrebbe annullata, privando l’Europa del loro apporto, distruggendo la Diaspora? E chi dopo di loro? Gli immigrati, altra fonte di pluralismo e di apertura, come vuole la Lega (e premedita l’Is)? E perché non tutti a casa loro, ognuno separato dal vicino da un muro, arroccato nella sua nazione contro tutti gli altri? E Israele, cosa diventerebbe senza la Diaspora, nonostante i suoi rifiuti e le sue negazioni? Un legame profondo unisce, come un cordone ombelicale, Israele e gli ebrei della Diaspora. Reciderlo sarebbe recidere le radici stesse dell’ideologia sionista. Perché, contrariamente a quanto si pensa, il sionismo è figlio della Diaspora, anche quando rifiuta questa sua discendenza. E’ figlio dell’ebraismo europeo, degli ebrei russi e polacchi che hanno costruito Israele. Da quel mondo, anche se non vorrebbe, deriva il suo pensiero e le modalità del suo essere, dalla cultura europea trae tanta parte della sua cultura e della sua identità. Le radici di Israele non possono essere che nella Diaspora. Gli ebrei italiani hanno una storia di italiani, quelli danesi di danesi, quelli francesi di francesi. Quando, nell’agosto scorso, a Parigi venivano attaccate le sinagoghe dai giovani islamici delle periferie, gli ebrei francesi facevano muro senz’armi cantando la Marsigliese. Non credo che sceglieranno davvero di porre fine a secoli di vita in Europa per paura di attentati, che rifiuteranno di combattere contro il terrorismo che ci minaccia tutti a fianco dei non ebrei. Non credo che la Diaspora, per quanto in crisi e minacciata, vorrà autodistruggersi come auspica Netanyahu.
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