martedì 6 agosto 2019
Ho appena salutato nuovamente la mia famiglia e il mio Paese. Sono una giovane laureata che lavora all’estero, da ormai più di 6 mesi...
(Ansa)

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Caro direttore,

è un giorno di fine luglio, e ho appena salutato nuovamente la mia famiglia e il mio Paese. Anche io sono una giovane laureata che lavora all’estero, da ormai più di 6 mesi. Un classico, la laurea triennale in Italia, la magistrale in Antropologia ad Amsterdam, un ritorno in Italia demoralizzante e alla prima chiamata di lavoro all’estero non ho esitato, ho fatto i bagagli e sono partita, tutto sommato anche contenta, devo dire. Ora lavoro con i Salesiani in Messico, dove faccio ricerca sul tema dei diritti dell’infanzia. Nonostante ciò, i saluti, gli addii, sono sempre i momenti più difficili, anche per chi ha scelto di partire e ha trovato il lavoro dei sogni. Avere la famiglia lontana è sempre un vuoto incolmabile. Partendo ho scritto qualche riga di getto, pensando a tutti i migranti che lasciano gli affetti senza nemmeno sapere se e quando potranno rivederli. Incollo qui sotto questi pensieri, se crede di poterci fare qualcosa ne sarò contenta! Colgo l’occasione per ringraziare lei e tutta la redazione di “Avvenire”, perché in questi anni preoccupanti non rinunciate a essere una voce controcorrente. Vi auguro perciò buon lavoro, anche oltreoceano avete lettori che vi seguono e vi sono grati!

«Quando per strada, in stazione, in un negozio, incrocerete il vostro sguardo con lo sguardo di un immigrato, qualunque sia la sua condizione, uomo, donna, bambino, adolescente, di provenienza asiatica, sub-sahariana, nord-sahariana, scacciate ogni discorso ascoltato nei tg, al bar, per strada, che minacciano e bombardano con controindicazioni sui 'migranti' come se fossero il bugiardino di un medicinale, pensate solamente: «Guarda questo essere umano, ha un cuore in sospeso», e augurategli un buongiorno. Perché ogni migrante, ogni persona che ha lasciato la sua casa, ha un cuore in sospeso. Ce l’ha lo studente che parte per l’Erasmus, l’innamorato che si unisce alla sua compagna in un Paese diverso, la ricercatrice che ha trovato il lavoro dei suoi sogni oltreoceano, la diplomatica che svolge il suo incarico istituzionale dove parlano una lingua diversa dalla sua, il giovane che va a Londra a cercare fortuna con il pretesto aggiunto di imparare l’Inglese, l’operaio che è stato ricollocato all’estero dalla propria ditta. Tutti questi migranti, hanno un cuore in sospeso, allo stesso modo dei e delle giovani che attraversano il Mediterraneo e di tutti gli esseri umani in cammino che cercano di attraversare un confine che li sancirà immigrati, richiedenti asilo, clandestini. Chiunque parte sa che lascia: lascia la casa, la famiglia, gli affetti, il cibo dell’infanzia, i colori, profumi, le proprie stagioni, gli amici... lascia, e una parte di sé rimarrà in sospeso, insoddisfatta, cullata dalla nostalgia che lo accompagnerà fino al prossimo ritorno. Ogni addio è un’interruzione di quel flusso di sentimenti, di amore, di quotidianità a cui non si dà molto peso fino a quando si deve dire addio; è solo allora che l’ordinario diventa straordinario, e lasciarlo appesantisce il cuore, stritola la gola, dilata lo stomaco, scioglie gli occhi. E anche se i primi vengono chiamati expat, espatriati, perché partono con passaporti privilegiati, soldi in tasca, carte prepagate, di credito, assicurazioni, permessi e visti, uno smartphone con cui connettersi a un wi-fi anche quando il proprio operatore smette di servire, anche a loro ogni arrivederci, ciao, ci vediamo presto, sospende una parte di cuore. Chissà tra quanto il prossimo abbraccio, e anche se sai che per qualsiasi emergenza potrai sempre prendere un aereo, che il cuore si riscalderà con nuovi affetti, amicizie, gioie, la profonda tristezza del distacco è inevitabile. Ritornate allora a quello sguardo incrociato con lo sguardo dell’essere umano che avete di fronte, e che a differenza di un expat ha lasciato davvero tutto e con sé ha potuto portare solo la speranza di un futuro migliore e un cuore in sospeso. Guardatelo e sorridetegli, augurategli un buon giorno e fatelo sentire ben venuto, perché ogni cuore in sospeso ha bisogno di sentirsi a casa nella sua nuova casa».

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