Nessuno pensi che il razzismo è frutto malato di provincialismo
giovedì 17 gennaio 2019

Caro direttore,

ho letto i commenti del suo giornale, ma vorrei a mia volta rimarcare le condivisibili idee dell’allenatore del Napoli Carlo Ancelotti a proposito della necessaria lotta contro gli insulti e il razzismo negli stadi. Sono il frutto di riflessioni maturate dopo una larga esperienza sui campi di calcio di tutta Europa (Ancelotti ha allenato, oltre a varie squadre italiane, il Chelsea, il Paris Saint-Germain, il Real Madrid e il Bayern Monaco) e dopo aver verificato che l’Italia si distingue dal resto d’Europa per la permanenza dell’usanza di insultare gli avversari e di fare cori razzisti contro i giocatori di colore delle altre squadre. Il caso di Ancelotti può essere utilizzato come esempio di sana sprovincializzazione e di influenza positiva dell’esperienza fatta nelle nazioni europee più progredite. Esso, nel suo piccolo, può essere considerato un modo di applicare nella realtà italiana ancora malata princìpi che ormai fanno parte della vita quotidiana delle principali nazioni dell’Europa occidentale.

Franco Pelella Pagani (Sa)

Ben vengano tutti i contributi, gentile lettore. E a maggior ragione ben vengano quelli di addetti ai lavori di grande prestigio come Carlo Ancelotti. Purché abbiamo sempre ben chiaro che xenofobia e razzismo non sono il frutto malato di un bieco “provincialismo” e che non sono confinabili a certi recinti sportivi pieni di quattrini, passioni e arroganze. Purtroppo il razzismo è un’onda limacciosa che ha ripreso forza e ha dimensioni internazionali. Solo avendo chiaro questo potremo vincere la indispensabile battaglia culturale ed educativa che bisogna ingaggiare e che passa anche dagli stadi.

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