mercoledì 1 maggio 2013
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C’è un posto dove il Primo Maggio viene festeggiato in modo speciale. Un luogo dove il lavoro degli uomini è stato sempre duro, aspro. Ma anche per così dire 'custodito'. Ben guardato. Si può dire protetto. È un posto che ha più di mille anni. Ma è stato scoperto giusto il primo giorno di maggio di cinquant’anni fa. E ci sarà doppia festa nel posto magico e misterioso. La storia racconta di un contadino che camminava sotto il sole estivo a picco, sulla strada tra Matera e Potenza. Portava un radiatore rotto sulle spalle. Un giovanotto si fermò in auto e gli chiese se volesse un passaggio. I lucani sono riservati. Tra tacere e parlare scelgono la prima. Ma quel giovane aveva qualcosa da chiedere al contadino, ovvero se avesse mai sentito parlare di una grotta detta «dei santi» o qualcosa del genere. Il ragazzo da qualche mese, con sua sorella e altri amici, ha addosso l’entusiasmo di riscoprire i tesori della sua terra. E in quel miracolo di pietra e aria, luci e cavità che è Matera, ci sono meravigliose chiese scavate nella roccia, antiche, violentemente belle. La cultura orientale e quella latina si incontrano in una terra che veniva ricordata per le condizioni durissime di vita, ma in cui sorsero cultura e espressione artistica e religiosa di grande forza. Quei ragazzi stavano cercando dunque le tracce di una chiesa rupestre detta «dei santi», di cui si erano perse notizie. Ma il contadino in auto nega e poi tace. Finché, poco prima di scendere, rompe il silenzio: «Però – dice in dialetto stretto – quando ero piccirillo e badavo le pecore dormivo sotto gli occhi di san Gabriele e san Michele…». Il contadino ricordò se stesso bambino, solo con le pecore in una grotta, lavoratore sperduto e impaurito, ma guardato, protetto. Gli occhi dei santi dipinti e chissà quali altre immagini… Poi scese e sparì. Per alcuni mesi i giovani amici si misero alla ricerca. Ma non trovarono più l’uomo, né sapevano dove andare. Il primo giorno di maggio del 1963, seguendo un piccolo canyon e un camminamento in pietra che collega vari anfratti, quei ventenni di allora – che ancora con il loro circolo 'La Scaletta' continuano tale opera di cura e ricerca – entrarono per la prima volta in una grande caverna. Appena gli occhi si abituarono alla oscurità, ecco sulle pareti la vasta pittura. Santi, storie della creazione, e gli arcangeli, gli occhi grandi. La scoperta del Primo Maggio è uno dei fatti più rilevanti della storia artistica e umana del nostro Paese. Cinquecento anni prima di Giotto, intorno all’anno 800 dopo Cristo, un pittore detto «dei fiori rossi», la decorazione, mette in scena in modo austero e gioioso, sospeso tra cultura bizantina e movimento plastico romano, la creazione della luce e della tenebra, i primi passi del mondo. Una Madonna dagli occhi materni guarda da una parete. Qui si alzarono per secoli gli sguardi dei bambini pastori e di chissà quanti, dal duro lavoro di campi, bestie e spostamenti trovavano riparo in queste chiese­grotta, grembo, che i monaci avevano creato per la preghiera. Quanti occhi tagliati dalla fatica hanno fissato gli affreschi essenziali e struggenti? Quanti sguardi, cuori, corpi sperduti, quanti ragazzini e uomini e donne soli hanno parlato con Dio in quelle grotte? A quanta gente intenta a strappare alla vita la vita, a lavorare, quegli occhi degli arcangeli e della madonna rupestre hanno fatto giungere la luce remota dell’essere, il brillìo originale della vita, il sì creatore? Era un buio dove si pregava e lavorava con lo stesso respiro…Oggi spesso un altro genere di grotte e di buio ospita la vita e il lavoro. E guardare dentro quella rupe fa tremare il cuore, la ragione, il respiro.
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