martedì 13 settembre 2016
​Reportage. La democrazia alla prova di una nuova crisi. Tornano in piazza le «ollas» e i coperchi. Minestra ai poveri per sfidare un liberismo che opprime. (Lucia Capuzzi e Stefania Falasca)
Argentina, la protesta delle pentole di zuppa
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Nella morsa dell’inverno australe che ha trasformato Buenos Aires in una gelida capitale del Nord, il simbolo della protesta è un enorme pentola di rame fumante. A piazza Congreso, i manifestanti pescano da qui le porzioni di zuppa che distribuiscono a disoccupati e senza fissa dimora, incuranti del vento pungente che spira da Puerto Madero. Sono ritornate le 'pentole popolari'. Le ollas, come le chiamano qui, non si vedevano a Buenos Aires da una quindicina d’anni, dall’immediata post crisi del 2001, quando le mense comunitarie erano divenute l’emblema della durezza della recensione, ma anche dell’inossidabile creatività della gente, capace di inventarsi dal niente strategie per tirare avanti. A dispetto del neoliberlismo feroce degli anni Novanta – radice della bolla dal cui scoppio era derivato il tracollo del 2001 –, le ricette popolari di sopravvivenza riscoprivano e rilanciavano la solidarietà. Per questo, nelle ultime settimane, movimenti sociali e sindacati sono ricorsi alle 'ollas' per protestare contro il governo del presidente Mauricio Macri, additato di attuare una politica eccessivamente liberale, il cui peso ricade sulla classe media e i gruppi sociali più disagiati. Per far sentire la sua voce, la piccola borghesia è, invece, ricorsa a uno strumento già più volte impiegato nei cortei dell’era Kirchner: i cacerolazos, i coperchi sbattuti rumorosamente per strada. Un fenomeno comune soprattutto negli ultimi due esecutivi di Cristina Fernández Kirchner (2007-2015), peronista e nemica giurata di Macri, eppure incolpata come quest’ultimo di impoverire la classe media. La stallo dell’economia argentina è in atto ormai già da tempo, in seguito al crollo del prezzo internazionale delle materie prime, in primis la soia. I recenti tagli di Macri ai sussidi, in particolare su trasporti e energia, hanno trasformato quello in corso 'nell’inverno dello scontento' argentino. Da quando il governo ha presentato, quattro mesi fa, il nuovo piano tariffario, le bollette del gas sono aumentante del mille per cento. Tanto che, il 19 agosto scorso, la Corte Suprema è dovuta intervenire, bloccando gli incrementi.Lo stop dei sussidi – definiti 'insostenibili' dall’esecutivo – ha prodotto rincari considerevoli anche sui costi di autobus e treni. Le cifre della povertà parlano da sole. Un terzo degli argentini non arriva alla fine del mese, secondo l’ultimo rapporto delll’Università cattolica argentina (Uca). L’Osservatorio del debito sociale – prestigioso centro di ricerca sociale della Uca – rivela che la povertà è cresciuta di quattro punti nel primo trimestre dell’anno, cioè quello dell’insediamento del governo Macri. Ci sono 1,4 milioni di indigenti in più – per un totale di 13 milioni –: di questi 350mila sono in condizioni di miseria estrema. Solo nella città autonoma di Buenos Aires, 300mila persone vivono nelle baraccopoli chiamate villas miserias: queste sono cresciute nel tempo in modo esponenziale e assediano la Capital. L’ulteriore incremento dell’inflazione, già superiore al 20 per cento negli ultimi anni, non fa prevedere facili risalite. Uno dei cavalli di battaglia del macrismo era stato proprio il contenimento dei prezzi. Le stime di giugno hanno, però, registrato un aumento di circa il 3 per cento. Cifra che rischia di far lievitare la media annuale a quota 25 o 28 per cento. A questo si somma l’aumento della disoccupazione che, per ammissione dello stesso esecutivo, ha raggiunto quota 9,3 per cento. Un record rispetto alle cifre degli ultimi anni. Quasi 1,2 milioni di persone sono senza lavoro.«La democrazia argentina dura da 33 anni. Un traguardo importante dopo la raffica di colpi di Stato novecenteschi. C’è, però, ancora molta strada da fare per dare alla parola democrazia un significato pieno, con l’inclusione di tutti», afferma Andrés Rossetti, giurista dell’Universidad nacional di Córdoba. Alla recessione si è sommata una nuova bufera politica, con la recentissima indagine per corruzione nei confronti del clan Kirchner – ex 'presidenta' inclusa – e alti vertici del suo governo. L’inchiesta sull’ex ministro delle Opere pubbliche, José López, incolpato di sottrazione di fondi – quasi 9 milioni di dollari –, ha finito per coinvolgere perfino alcune consacrate di General Rodríguez, municipio-satellite di Buenos Aires. Scandali e crisi hanno esacerbato la già elevata polarizzazione del Paese tra kirchneristi e macristi. Questo clima ha 'avvelenato' perfino il Bicentenario dell’indipendenza, celebrato lo scorso 9 luglio. «Nel 1816, ci siamo emancipati da una potenza straniera. Il Paese, però, sembra ancora intrappolato nel XIX secolo», spiega ad Avvenire Santiago Kovadloff, noto intellettuale argentino.Molti dei drammi dell’Argentina attuale, secondo Kovadloff, sono frutto dei cosiddetti 'debiti insoluti' dell’indipendenza. «Siamo un Paese originale: ci siamo emancipati dalla Spagna e, simultaneamente, dichiarati guerra l’un l’altro. I diversi gruppi, settori, difficilmente riescono ad anteporre le esigenze nazionali alle proprie. E questo rende le istituzioni repubblicane deboli. I governanti, invece di agire per il bene comune e essere sottomessi alle legge, cercano di manipolare queste ultime per i loro interessi». Interessi che non hanno esitato a strumentalizzare anche papa Francesco, in una violenta campagna di diffamazione che ha trovato silenti anche settori della Chiesa. «Attraverso i media si è cercato di screditare l’opera del Papa – spiega Juan Grabois, storico dirigente dei movimenti popolari, di recente nominato consultore nel Pontificio consiglio di Giustizia e pace – perché le sue parole sono un attacco agli interessi politici ed economici che riflettono le linee del capitalismo liberista. E in questa fase in Argentina, come nel resto dell’America Latina, sono aggravate a causa di ciò che Francesco chiama 'paradigma tecnocratico'. Un paradigma che comporta l’alleanza tra i settori più concentrati della finanza e delle nuove tecnologie, determinando un vero e proprio impero del denaro. Questo oggi domina qui come altrove, con molta poca opposizione».«Nella lotta alla povertà, alla diseguaglianza, al narcotraffico, alla corruzione, al degrado ambientale ci vuole un accordo condiviso fra le forze politiche e sociali», dice ad Avvenire monsignor Jorge Lozano, vescovo di Gualeguaychú e responsabile della Pastorale sociale argentina. Già nel 2005, l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio aveva messo il dito nella piaga provocata del culto al Dio denaro e chiesto l’elaborazione di progetti per il bene comune. Ora lo ha ripetuto di recente in un messaggio inviato alla Conferenza episcopale argentina alla vigilia del Bicentenario. Una 'Patria libera' e non più 'in vendita' al miglior offerente è il sogno di Francesco.
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