I Murazzi a Torino - Ansa
Non siamo solo i nostri gesti e le nostre parole ma anche le cose che non facciamo, i discorsi mai pronunciati per paura o indifferenza. Ci sono le colpe, le opere brutte, i delitti commessi in prima persona, ma non è meno grave evitare che vengano compiuti, o almeno provarci. Il problema è che sull’omissione spesso sorvoliamo. D’altronde perché immischiarsi, se rischiamo di farci male o di essere coinvolti in noiose beghe, con il rischio di perdere tempo e magari denaro? Meglio, molto meglio far finta di niente, fregarsene, guardare altrove. Il fatto è che in alcune situazioni non impedire equivale a compiere un gesto, e provare a nascondere un comportamento sbagliato è come esserne responsabile.
In questo senso fa scuola la sentenza di Torino, dove il tribunale ha condannato in primo grado Sara Cherici a 16 anni di carcere ritenendola colpevole di concorso in tentato omicidio. La vicenda in questione riguarda un triste episodio avvenuto a Torino nella notte tra il 20 e il 21 gennaio 2023 quando un giovane studente palermitano fu ferito in modo gravissimo da una bici fatta cadere dall’alto dei Murazzi, le storiche arcate e rimesse delle barche lungo le sponde del Po, divenute nel tempo luogo di passeggio e teatro di una complicata movida.
A seguito dell’incidente il ragazzo, Mauro Glorioso, è rimasto paralizzato. Responsabile dell’atto criminale un gruppo di giovanissimi composto da tre ragazzi e una ragazza di cui l’unico maggiorenne all’epoca dei fatti, oltre a Sara, era Victor Ulinici, già condannato a 10 anni e 8 mesi, pena peraltro giudicata troppo lieve dalla Cassazione che ne ha disposto la revisione. Quanto a Cherici, il tribunale l’ha riconosciuta colpevole, pur senza commettere l’atto, di non aver fatto nulla per evitarlo, anzi di essere scappata con il gruppo proseguendo poi la serata come se niente fosse. Inoltre, nei giorni successivi, la giovane non solo non sporse denuncia ma cancellò dal suo telefonino gran parte dei messaggi scambiati con il resto della banda. Invece, i tre minorenni del gruppo sono stati condannati in modo definitivo rispettivamente a 9 anni e 9 mesi, 9 anni e 4 mesi e 6 anni e 8 mesi. A determinare lo scarto rispetto a Cherici la scelta di patteggiare, procedimento che prevede una diminuzione della pena fino a un terzo.
Non è vero quindi che il giudice di Torino ha avuto la mano pesante verso l’una e leggera nei confronti degli altri. Più semplicemente ha sottolineato come la maggiore età non sia solo un dato anagrafico ma comporti una diversa responsabilità, un più maturo approccio alla vita, per certi versi il dovere dell’esempio. Potrà sembrare un’esagerazione, considerato che la stessa Sara all’epoca dei fatti era giovanissima ma così stabilisce il codice della vita comunitaria, che non può che mettere al centro l’innocente, la vittima. E qui l’incolpevole condannato è il ragazzo costretto per sempre sulla sedia a rotelle. È possibile che nei prossimi gradi di giudizio la pena della ragazza verrà ridotta e che dunque avrà una lunga fetta di vita per ricostruirsi e riprendersi. Ma la sua vicenda contiene un insegnamento che vale per tutti. Ci dice che ogni gesto ha le sue conseguenze e che non ostacolarlo è spesso grave come un delitto compiuto direttamente. Ci insegna che l’indifferenza non è mai un’attenuante ma può essere il travestimento di una colpa molto diffusa. Quella di omessa umanità.