mercoledì 17 settembre 2014
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Chi ha detto che la pena di morte è stata bandita dall’Europa occidentale? Il Belgio ora si accinge a ripristinarla, nella forma edulcorata della decisione di un detenuto disperato che chiede e ottiene la morte dallo Stato. E lo Stato, anziché fermarlo come dovrebbe, lo accontenta. Anzi, gli procura luogo, strumenti e personale a spese dei contribuenti: vuoi morire? Ci pensiamo noi. Una vera esecuzione capitale, decisa da una Corte che accoglie l’istanza con la quale il detenuto chiede di morire anziché di vivere, ritenendo una condanna la sua stessa vita e non il carcere, una prigione la propria psiche ferita o malata assai più della cella. E il giudice, di fronte a un simile grido di solitudine e impotenza, deve prendere atto della richiesta e ordinare di dar la morte a un cittadino colpevole di essere malato di mente. A uccidere Frank Van Den Bleeken, 52 anni, violentatore seriale e omicida, in carcere da 30 anni, psichicamente disturbato, non sarà dunque un plotone d’esecuzione o la ghigliottina ma la mano di un infermiere. La brutalità della sua sorte non cambia se a causare la morte di quest’uomo che si dichiara incapace di uscire da turbe e tormenti sarà una banale iniezione, esattamente come accade negli Stati Uniti d’America, universalmente deprecati, dove si sdraia il detenuto su un lettino e s’infila un ago nel suo braccio sperando che la faccenda termini alla svelta. Quando il boia entra in azione in fondo a un braccio della morte ancora si alza una giusta e doverosa indignazione globale. Ma per Frank, condannato a morte da se stesso e ormai prossimo all’esecuzione per mano dello Stato che dovrebbe proteggerlo anche da pulsioni suicide, dubitiamo ci saranno associazioni per i diritti civili che leveranno la loro voce indignata. Temiamo infatti che la sua morte verrà rubricata come nuova forma di 'autodeterminazione', e l’esecuzione con siringa fornita dal governo di Bruxelles considerata non più un delitto ma un diritto. Paradosso raggelante di un’epoca nella quale la vita vale in base alla considerazione che ne abbiamo, e non più di per sé, a prescindere da ogni distinguo.  L’Occidente orgoglioso di aver sradicato con la pena capitale una forma di umiliazione della dignità umana oggi tollera e, anzi, promuove e sbandiera l’eutanasia come forma suprema di libertà: la libertà di ottenere la propria morte dallo Stato, in ossequio a leggi che non la riconoscono come tragedia da scongiurare ma la annoverano tra i servizi da erogare al cittadino. Una pulsione nichilista che nel cuore dell’Europa ha trovato in Belgio un laboratorio della morte seriale, al ritmo di cinque eutanasie al giorno. Che all’elenco degli oltre 1.600 casi registrati ogni anno si aggiunga ora anche il detenuto Frank – vita di scarto al quadrato: perché detenuto e malato – è l’ammissione di una resa. Alla quale potrebbe succederne persino una più spaventosa: pensare di alleggerire la pressione nelle carceri proponendo la morte a chi non vuole marcire in galera da rifiuto reietto e abbandonato. Magari facendola passare come uno sconto di pena.
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