mercoledì 5 marzo 2014
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Caro direttore,
le scrivo di getto, per dirle che mi sono profondamente commosso nel leggere la lettera di Stefania D., la giovane futura avvocato piemontese cui lei ha risposto domenica scorsa, 2 marzo. È vero: lavoro e famiglia sono le due grandi priorità, ma direi che il lavoro viene al primo posto perché senza lavoro fra poco non ci sarà più nessuno che mette su famiglia e il Paese andrà incontro a un «suicidio demografico»! Io ho 5 figli, la mia più grande fra poco compie 15 anni, anche lei vorrebbe diventare medico, come me, ma io sono molto preoccupato per il futuro lavorativo suo, di tutti i miei figli e di tutti i giovani italiani. Non voglio più leggere lettere di scoraggiamento e di disperazione. Il nuovo premier definisce «allucinanti» i dati sulla disoccupazione, ma Stefania, giustamente, è stufa di parole, servono fatti. Matteo Renzi si è assunto una enorme responsabilità di fronte al Paese ma soprattutto di fronte ai giovani. La priorità della sua politica deve essere "lavoro, lavoro, lavoro", per il bene del Paese e per il bene comune! Ma quale lavoro? Serve una sorta di Piano Marshall per un nuovo inizio. Abbiamo un Paese intero da ricostruire, milioni di case da ristrutturare, un paesaggio da difendere, un patrimonio artistico e culturale da preservare (e invece la cronaca di questi giorni registra nuovi crolli a Pompei). Molti anni fa il grande Raoul Follereau chiese, inascoltato, ai potenti del mondo l’equivalente economico di un bombardiere per cancellare la piaga della lebbra dal mondo. Oggi ci basta pensare che, qui in Italia, con il costo di un solo cacciabombardiere F35 sarebbe possibile ristrutturare oltre 100 scuole! C’è così tanto lavoro da fare… Forza, rimbocchiamoci le maniche, a partire dai politici! Chiedo ad "Avvenire" di continuare a incalzare instancabilmente il nuovo Governo proprio su lavoro e famiglia, chiedendo a Renzi fatti e non parole, come ha promesso. E da subito, domani è già tardi!
Luca Salvi, Verona
 
Gentile direttore, ho letto su "Avvenire" del 2 marzo la lettera di Stefania D. e ho provato una profonda amarezza in quanto io, dopo 35 anni di duro lavoro, non posso andare in pensione togliendo forzatamente un posto di lavoro a un giovane, cosa che solo fino a 3 o 4 anni fa era possibile. Ci sono decine di migliaia di persone che, come me sarebbero felici di andare in pensione, anche con una decurtazione della stessa, pur di lasciare lavorare un giovane. I dati ufficiali dicono che tra il 2012 e il 2013 c’è stata una diminuzione dei pensionamenti pari al 43% e questo è il motivo principale dell’aumento della disoccupazione.
Giovanni Pontani, Roma
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