lunedì 23 marzo 2015
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Vite spezzate senza verità. Figli che non conoscono i motivi per cui sono cresciuti senza padre. Mamme che da tanti, troppi anni si chiedono “quando saprò perché?”. Una domanda che non ha risposta. Molti familiari di vittime innocenti delle mafie non hanno né verità né giustizia. Alcuni sanno, e non è difficile per chi vive sui territori, i nomi o almeno l’ambiente che ha colpito i propri cari. Sanno, ma non hanno prove, come Pierpaolo Pasolini che lo scriveva per la stragi del terrorismo. Sanno, ma non hanno giustizia. Un dolore che si somma al dolore, e che non diventa disperazione. Li vediamo da anni raccolti da Libera nella Giornata della memoria e dell’impegno, come quella di ieri a Bologna che ha visto più di cinquecento familiari presi sotto braccio e accompagnati da 200mila persone. Ma li abbiamo visti soprattutto durante l’anno andare nelle scuole, nelle associazioni, sui territori per raccontare le storie loro e dei loro cari. Memoria e impegno. Malgrado la verità negata. Anzi, come ci hanno spiegato, per dare un senso a quella che potrebbe sembrare una “non vita”. Che dignità in queste persone, che straordinaria normalità! Una testimonianza che colpì profondamente papa Francesco lo scorso anno a Roma in occasione dell’incontro con loro e con don Luigi Ciotti. «Andate avanti così», li spronò in un abbraccio paterno. Un sostegno che ha dato ancor più forza al cammino comune. Perché queste persone, col cuore che gronda sangue, ci sono, vogliono esserci. Come cittadini di un Paese che spesso li dimentica. È davvero democratico un Paese che non riesce a dare verità e giustizia? Che dopo venti anni non riesce a decidere che il 21 marzo sia finalmente la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno? Che ancora considera vittime di serie A e di serie B solo sulla base di una data? Che non sostiene fino in fondo il loro impegno educativo? Domande che devono avere risposte. Basterebbe poco. Chi non voterebbe una legge con tre semplici articoli? Tutti si dicono a parole per la legalità e contro le mafie. È tempo di fatti. Lo dobbiamo alla memoria delle vittime e all’impegno dei loro familiari. Il Paese deve saper dire anchee così un grande “grazie”. Non c’è ancora tutta la verità, ci sia un sacrosanto riconoscimento di dignità.
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