Ma nessuno sa più i limiti
venerdì 19 agosto 2022

«Il Comitato Etico della Regione Marche dopo ampia, approfondita articolata discussione a maggioranza (21 voti a favore e 6 contrari) ha deliberato un parere NON FAVOREVOLE (tutto maiuscolo nell’originale - ndr) alla richiesta di suicidio medicalmente assistito formulata dal Signor …, ritenendo di dover assicurare l’effettività del diritto alle cure palliative, promuovendone un’offerta concreta che possa essere accettata dal paziente e dalla sua famiglia». Queste le conclusioni del Comitato Etico marchigiano del 16 giugno scorso sulla richiesta di suicidio assistito di Antonio, nome fittizio del protagonista di questi eventi, una persona tetraplegica da otto anni per un incidente stradale. Ma il parere non è vincolante e Antonio già ora potrebbe suicidarsi senza conseguenze penali per chi lo aiutasse, secondo la Asur Marche. Una situazione, la sua, esemplare della deriva già imboccata nel nostro Paese, in assenza di una legge che faccia valere nella sostanza le condizioni stabilite dalla Corte costituzionale con la sentenza 'Dj Fabo-Cappato'.

Antonio ha una diagnosi di tetraplegia spastica, ma grazie a una parziale mobilità delle braccia può utilizzare computer e cellulare e autospingersi in casa, per brevi tratti, in carrozzina. È molto grato ai familiari, soprattutto sua madre, necessari nella quotidianità: spostarsi dal letto alla carrozzina, lavarsi, vestirsi, mangiare.

È sempre stato molto indipendente: la commissione della Asur Marche che lo ha esaminato non ha potuto parlare con i suoi familiari, né valutarne l’ambiente di vita, perché Antonio non ha voluto coinvolgere nessuno in questo percorso ed è stato lui stesso, accompagnato da un medico, a recarsi in ambu-latorio per le visite e i colloqui. Anche adesso vive da solo, vicino ai suoi, nella sua casa attrezzata con una palestra per i trattamenti riabilitativi che gli sono stati prescritti.

È stato dichiarato idoneo alla guida di auto «con specifici adattamenti», e dalle cronache leggiamo addirittura che «non ha smesso di lanciarsi con il paracadute». Una disabilità non estrema e una buona vitalità, anche se sicuramente la sua patologia è cronica e irreversibile, come richiede la Consulta nel primo dei quattro requisiti per accedere al suicidio assistito. È accertata «l’assenza di un dolore cronico e intenso» grazie a trattamenti con miorilassanti e antinfiammatori, ma è riconosciuta una sofferenza psicologica intollerabile – secondo requisito necessario – per le sue condizioni di dipendenza, di non autonomia: una qualità di vita ritenuta da Antonio «insufficiente per rinunciare o posticipare il desiderio di una morte volontaria che sopraggiunga il prima possibile».

Respira e si nutre senza ausili: l’unico presidio segnalato è un catetere vescicale soprapubico, indispensabile per vivere, e questo sarebbe, secondo la commissione, il sostegno vitale che soddisfa il terzo requisito della Consulta. Soffre di stipsi, ma «è sottoposto raramente a manovre di evacuazione manuale delle feci».

È capace di decisioni autonome e consapevoli, come dice la quarta condizione. Le sue condizioni fisiche generali sembrano buone: non vaccinato, lo scorso gennaio è risultato positivo al Covid e, ricoverato nel reparto malattie infettive, ha rifiutato le cure intensive, la maschera Cpap, il presidio a flusso elevato di ossigeno Hfnc, e il ricovero in area semintensiva. Antonio ha maturato la volontà di morire man mano che aumentava la consapevolezza di non poter migliorare ulteriormente e «di dover dipendere sempre da altri, perdendo privacy e intimità». Nel febbraio 2021 ha depositato le Dat per rifiutare trattamenti sanitari anche salvavita – antibiotici compresi – nel caso in cui non fosse in grado di esprimere il proprio consenso.

Antonio è l’esempio di come si possano ritenere rispettati i requisiti perché l’aiuto al suicidio non sia sanzionato, secondo le autorità sanitarie, e al tempo stesso essere contrari all’accesso all’assistenza al suicidio, come espresso dal Comitato Etico. Correttezza formale e discutibilità sostanziale possono tranquillamente coesistere, aprendo a scenari inquietanti: un incidente che stravolge la vita, ma una disabilità non estrema; una comprensibile, profonda sofferenza per la perdita dell’autonomia ma la mancanza di dolore fisico e le tante opportunità che la vita continua a offrire. Una situazione non così rara, non al limite, sicuramente lontana da quella individuata dai nostri 'giudici delle leggi' per depenalizzare l’aiuto al suicidio.

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