domenica 31 gennaio 2016
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L’articolo sul film Il figlio di Saul pubblicato qui il 27 gennaio, giorno della Memoria, è stato discusso, approvato o criticato dai lettori per email e su Facebook, ma alla fine il tema originariamente posto su questo giornale è diventato un altro. È interessante vedere questo cambiamento, perché fa capire molte cose sulle idee che i lettori hanno intorno al giorno della Memoria, all’Olocausto o Shoah, alle colpe dei popoli uno verso l’altro, alla giustizia possibile o impossibile. Una delle idee più diffuse tra i lettori è che nel giorno della Memoria si ricordi la Shoah perché lo si valuta come la più grave colpa della storia, e allora si scatena la domanda: non è che ci sono colpe più gravi? Magari commesse da noi?  Non è che accusiamo altri per salvare noi stessi? Va bene, i tedeschi volevano crearsi un impero e usavano quei metodi, ma i romani usavano forse metodi migliori? E gli spagnoli in Sudamerica? E i fascisti in Abissinia? E Stalin in Russia? I lager furono un’infamia, ma le foibe? E i campi di concentramento fascisti in Slovenia? Sono tutte accuse che mi sono sentito rivolgere (le più violente sono nella mia pagina di Facebook), e alle quali vorrei rispondere. Non per negare quelle colpe, che gravi erano e gravi restano. Ma per ricordare che la Shoah è un’altra cosa. Ne ho accennato qui a suo tempo quando si ristampava un libro di Hannah Arendt La banalità del male: un male smisurato non può dirsi banale. «Il più grande crimine della storia è lo schiavismo – dice un lettore – che è durato secoli, e ha mietuto vittime a milioni». Quella fu una vergogna per l’umanità europea. Qualcuno dice che da lì partì l’arricchimento dell’Occidente, che dura ancora, e che fa dell’Occidente la parte più benestante del mondo. Lo schiavismo consisteva nello spremere ricchezza dalle sofferenze altrui. «In Nordafrica noi italiani abbiamo usato i gas –, dice un altro –, per uccidere nemici scalzi». È vero, il nostro governo voleva farsi un impero, e pensava che il metodo giusto fosse quello. «Pensiamo agli schiavi degli antichi romani», ammonisce un altro, e potrebbe anche aggiungere che alcuni di questi schiavi venivano fatti combattere uno contro l’altro fino alla morte per la gioia dei romani: l’agonia e la morte come divertimento. «Per la gloria dei romani, vorremmo strappare queste pagine dal libro della loro storia», scrive Jérôme Carcopino in Vita quotidiana a Roma all’apogeo dell’impero, apogeo che lui colloca sotto Adriano. È vero, è il lato oscuro dell’impero romano, oserei dire il lato barbaro. Ogni popolo che combatte è crudele verso i vinti. Stalin fu spietato con i kulaki, facendoli morire di fame. Se cerchiamo chi fu il più crudele, non ne veniamo mai a capo. Ma la Shoah non fu questo. Lo sterminio, che noi ricordiamo il 27 gennaio (giorno in cui terminò), non fu l’operazione con cui un popolo vincitore incrudeliva sui vinti perché avevano resistito, o si erano ribellati, o erano nemici. Non c’era in ballo l’oro del Sudamerica, o terre da conquistare. Gli ebrei, e quelli che venivano chiusi con loro nei lager, non rispondevano a una logica militare o imperiale, ma a una visione demoniaca dell’umanità. Era questo che contestavo alla Arendt. Per gli autori dell’Olocausto, l’umanità era stata creata male, c’erano 'razze' che non meritavano di vivere, e queste 'razze' andavano eliminate, così perfezionando l’umanità. La Shoah rispondeva a un progetto di rifare da capo, correggendola, la Creazione. 'Il figlio di Saul' racconta questo rifacimento in atto. Quelli che venivano uccisi non scontavano la colpa di un’opposizione, ma la colpa di esistere. A punire le colpe dell’opposizione bastano uomini, a punire la colpa di esistere occorrono Superuomini. Nel film li vediamo in azione, a loro agio nell’Inferno come frenetici diavoli.
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