domenica 18 agosto 2013
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Nelle strade del Cairo, di Alessandria e di altre città egiziane si continua a morire. Mentre l’iniziativa diplomatica internazionale sembra ancora una volta paralizzata dalla mancata decisione su quale posizione prendere di fronte al controverso quadro sociale, politico e strategico­militare che ha travolto l’Egitto. Mentre le speranze accese dalla 'primavera' del 2011 si sono prima affievolite in un inverno oppressivo e poi sono esplose con la destituzione del presidente Morsi e l’instaurazione di un regime militare di transizione verso nuove elezioni avversate dai Fratelli Musulmani. E così il numero di quanti hanno perso la vita in questa 'settimana nera' di metà agosto non si conta più: dalla parte dei manifestante e da quella delle forze di sicurezza, appoggiate da terra e dall’aria dai mezzi militari, il sangue continua a scorrere e ad infiammare gli animi e accecare i pensieri e le azioni.
Dalla storia, anche la più recente, abbiamo appreso che le risposte della politica e della diplomazia sono sempre più lente di quelli delle armi. Per tessere una rete di contatti affidabili e autorevoli serve tempo e discrezione. Le mediazioni tra posizioni socialmente, culturalmente, religiosamente e politicamente distanti richiedono la paziente intelligenza di non forzare i passi ancora immaturi e di saper dosare efficacemente il bastone e la carota, premendo quanto basta per far chinare il capo ai forti e far alzare la testa ai più deboli. Tenace deve essere la consapevolezza che ogni equilibrio raggiunto tra le parti attraverso un ragionevole e realistico compromesso è sempre precario, provvisorio, quel che serve per la cosa più importante: far tacere le armi e mettere in sicurezza gli abitanti, in modo particolare le famiglie, i bambini e gli anziani.
Il resto è da (ri)costruire giorno per giorno, anno dopo anno, attraverso la quotidianità della vita nei villaggi e nelle città. Ma possiamo attendere ancora? Il massacro di tante vite umane – ora in Egitto, da mesi e mesi in Siria e altri luoghi della terra – non vale il rischio e la fatica di un deciso passo in più, di una coraggiosa mossa fuori dalle righe dei sofisticati canoni della diplomazia, che parli direttamente all’intelligenza e al cuore dei contendenti, tenda loro una mano per aiutarli a uscire dal vicolo cieco dell’odio e della violenza in cui sono finiti e dal quale, da soli, non riescono a venire fuori?
Una mano decisa e forte – talvolta la forza (anche quella militare, quando proprio non se ne può fare a meno) vince l’arroganza e la presunzione di potercela fare da soli, di vincere la partita a tutti i costi – che abbia alle spalle l’intera comunità internazionale, sostenuta dalle grandi culture civili e religiose che animano i popoli e le società. A questo sono chiamate le Nazioni Unite. Di fronte alla vita dell’uomo, alla sofferenza di tanti, al dolore delle vittime e allo strazio dell’umanità che ci accomuna (prima ancora che nella fede che ci differenzia), è consentito a noi tutti, in particolare a noi europei, di restare spettatori dell’abominevole spettacolo dagli schermi della tv o della rete?
Il principio di non ingerenza negli affari interni degli Stati – nel caso di una emergenza umanitaria gravissima che vede violato il diritto alla tutela della vita di ciascun uomo e donna, indipendentemente dalla loro appartenenza culturale, religiosa e politica – può cedere il passo a una solidarietà e corresponsabilità che travalichi i confini etnici, religiosi e nazionali per farsi carico di un dramma che ci riguarda tutti? L’immobilismo, il non prendere nessuna decisione per il timore di eventuali ripercussioni negative per l’Occidente, non è una soluzione politica che possa lasciare tranquille le coscienze e mettere al riparo l’Europa da ogni 'pericolo'.
Nessun luogo è troppo lontano, nessun uomo davvero straniero, nessuna religione così altra, nessuna situazione politica oltremodo complessa da voltare le spalle a una tragedia che ci riguarda e ci appartiene, qui e ora, perché è parte della storia di oggi, in cui è immersa e da cui dipende la vita di ciascuno di noi.
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