De Magistris e Saviano sono dalla stessa giusta parte
martedì 10 gennaio 2017

De Magistris e Saviano sono dalla stessa giusta parte «Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi». Parola di Gesù. Potessimo ricordarlo sempre, avremmo la vittoria assicurata. Il sindaco di Napoli è un ex magistrato. Per la sua città si è impegnato prima e dopo la sua elezione a primo cittadino, ma Napoli si trascina dietro problemi antichi che, per essere debellati, necessitano di sforzi da parte di tutti. Roberto Saviano è uno scrittore. Era ancora un giovincello quando con il libro “Gomorra” conobbe un successo strepitoso, non solo in Italia.

Come tutti gli esseri umani, Saviano, può piacere e non piacere, nessuno può negare, però, che, per raccontare la camorra campana e i suoi addentellati, ha messo a repentaglio la sua vita. Se da anni vive sotto scorta un motivo ci deve essere. Queste due persone – insieme a un esercito di galantuomini – in modi diversi amano Napoli e lottano perché diventi una città normale.

Negli ultimi giorni abbiamo assistito – con disappunto – a un braccio di ferro tra loro. Come sempre accade in questi casi sono volate parole più grosse dei pensieri. A Saviano, che, con il suo stile, continua a raccontare i mali di Napoli, il sindaco risponde elencando le cose belle che sono state realizzate in questi anni. La gente prende posizione e si schiera a favore dell’uno o dell’altro. Peccato. I due, con il fucile in spalla, erano usciti per abbattere il lupo cattivo, ma si sono ritrovati a puntarsi l’arma a vicenda. Il lupo, naturalmente, si fa beffe, e, imperterrito, continua a fare quello che ha sempre fatto. Dispiace non poco questa diatriba.

Ritorna la domanda: «È bene denunciare i mali di una città o, invece, converrebbe farli passare sotto silenzio?». Come sempre occorre fare ricorso a una buona dose di equilibrio e di verità. A nessuno è consentito negare il lavoro, tante volte eroico, fatto dalle associazioni, dai volontari, da tanti politici locali, dalle forze dell’ordine, dalla Chiesa. Però, a quanto pare, non basta. E questo è sotto gli occhi di tutti. Il ferimento, in pieno giorno, di una bambina e di tre senegalesi che, a Forcella, si sono rifiutati di pagare il pizzo alla camorra, sta a dire che, rispetto al passato, in città le cose non sono troppo cambiate. L’illegalità, le tangenti pretese e pagate, la prepotenza dei camorristi ancora la fanno da padrone. Purtroppo. Queste ferite, che da sempre Napoli si porta addosso, non sono state ancora risanate.

Non dimentichiamo che a Forcella, un anno fa, la sera di san Silvestro, fu massacrato Maikol Russo. Il giovane, 27enne, era innocente da ogni punto di vista. I sicari, ammesso e non concesso ci possa mai essere una vittima “giusta”, presero uno dei loro non rari abbagli. Solo pochi anni prima, sempre in quella zona, a cadere sotto colpi sparati all’impazzata fu Annalisa Durante. La ragazza aveva solo 14 anni. Ci fermiamo, perché le vittime innocenti della camorra sono decine. Queste vite preziose, pesano come macigni nella memoria dei napoletani. In questi anni in nessuna altra città italiana è stato versato tanto sangue innocente dalla malavita organizzata. Le maledette “stese” sono un incubo per tutti.

Chi ha vissuto sulla sua pelle il terrore di essere accerchiato da quattro, cinque motociclisti col volto camuffato, che, in sella a moto di grossa cilindrata, sparavano come forsennati, anche se non è morto, è rimasto segnato per sempre. Non parlo per sentito dire. Chi deve porre freno a questo stato di cose? È evidente che la buona volontà dei cittadini e dell’amministrazione comunale non bastano.

Occorre una seria azione congiunta da parte di tutte le articolazioni dello Stato. Viva i musei strapieni di visitatori. Viva il grande albero di Natale in riva al mare. Viva Napoli sempre bella e interessante. La verità, però, va raccontata tutta intera, e le mezze verità – come si denuncia da tempo su queste colonne – sono sempre delle bugie. Le persone perbene non possono cedere alla tentazione di guardarsi in cagnesco e lanciarsi frecciatine avvelenate. De Magistris e Saviano non sono rivali. Il loro – e nostro – vero, pericolosissimo, onnipresente nemico è la camorra che, da decenni, non smette di affossare la città. Il sindaco e lo scrittore non possono delegittimarsi a vicenda, commetterebbero un errore madornale. Ai loro amici, a tutte le persone di buona volontà viene chiesto di non gettare sul fuoco di questa diatriba legna secca, ma acqua a volontà. Pompieri non piromani. Nessuno deve distogliere lo sguardo dal lupo cattivo.

Nemmeno per un istante solo. «In Italia – scrive Isaia Sales – si fa fatica a comprendere che quando fenomeni criminali durano tanto a lungo (…) ciò vuol dire che le mafie non sono riducibili solo a “storia criminale”, ma fanno parte a pieno titolo della storia italiana». Occorre lavorare sodo per sciogliere l’abbraccio mortale tra camorra e istituzioni corrotte. Unicuique suum. A ciascuno il suo. Si continua a lavorare. Gomito a gomito. Con serietà, impegno, rispetto, abnegazione. E magari un pizzico di benevola ironia. Sapendo che solo sostenendoci e confortandoci a vicenda possiamo sperare di vincere questa guerra infame.

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