giovedì 13 febbraio 2020
"I met you", "ti ho incontrato" il titolo del video in cui la donna interagisce con la figlia di sei anni morta per una malattia incurabile
Quell’abbraccio digitale alla figlia morta

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Ha perso la sua bambina di sei anni per una malattia incurabile. Si può immaginare lo strazio di Jang, una giovane mamma sudcoreana. È, nei millenni, lo strazio di ogni madre che ha perduto un figlio, e che ogni mattina al risveglio trova ad attenderla un pensiero tagliente come una lama: questi miei occhi, non la vedranno più.

Ma la tecnologia digitale ha compiuto formidabili passi. E oggi quella madre, in un video girato dalla Munhwa Broadcasting e visibile su numerosi siti web, ha potuto 'entrare' in un ambiente virtuale in cui ha incontrato la sua bambina perduta. Non lei, naturalmente, ma la sua immagine: grazie alla tecnica dei videogame, ai movimenti di un bambino è stato sovrapposto il viso della figlia. Il risultato, intitolato ' I met you', 'Io ti ho incontrato', è quasi perfetto: la bambina virtuale sta di fronte alla madre, la guarda, corre via, ritorna. La mamma, che indossa un visore sugli occhi e dei guanti con dei sensori alle mani, se la vede davanti come fosse viva. Scoppia a piangere, le parla fra i singhiozzi, il viso seminascosto dalla maschera nera.

La bambina appare serena nei suoi begli occhi a mandorla, in quel mondo disegnatole attorno – un giardino pieno di fiori. La madre allunga le braccia a accarezzare il viso della figlia. Chi guarda dall’esterno vede quelle mani che stringono qualcosa di inafferrabile, che si sovrappongono fra loro: ma in mezzo non c’è nulla. Poi una torta di compleanno dove la mamma pone una settima candelina, e canta alla bambina gli auguri, per gli anni che non compirà. Infine il video si interrompe. Jang ha detto che per lei è stata una gioia, «incontrare» sua figlia. E si può ben capire che in un estremo dolore ci si attacchi a ogni alito di speranza, pur sapendo che è una finzione. Eppure, a chi sta a guardare questo video struggente restano in mente soprattutto le mani della madre, quelle mani gentili coperte dai neri guanti irti di fili.

Come si affannano a cercare le guance della figlia, come delicatamente le accarezzano i capelli. Se davvero la madre ha un istante di oblio dal suo dolore, chi assiste alla scena da fuori si sente turbato, e invaso da una grande pena: quel viso di bambina è ricalcato da video girati in famiglia, quel giardino non esiste, e ciò che la povera donna accarezza è solo un’illusione. Potrà, se vuole, rivedere cento volte le immagini, ma alla fine dovrà fra sé ammettere di essere entrata come in un fantastico gioco di specchi, e che la realtà invece è un’altra, e durissima. Chissà, la tecnologia digitale galoppa, e forse fra pochi anni la percezione data da una simile tecnologia sarà autenticamente perfetta, e col tempo potrebbe diventare accessibile a tutti, da uno smartphone. Forse un giorno sarà naturale, dopo un lutto, avere a disposizione una realtà virtuale in cui ritrovare la persona amata: come viva, che ci guarda, che ci risponde con la sua voce.

Ci si può chiedere, certo, se la compagnia dei volti cari scomparsi, accessibile quando vogliamo, ci aiuterà, o invece non rallenterà quella naturale cicatrizzazione delle ferite che il tempo opera pietosamente negli uomini. Ma la domanda più forte che si pone è ancora un’altra. Ci basterà un Paradiso virtuale, assolutamente verosimile, ma, lo sapremo bene, fasullo? E quando spegneremo per l’ultima volta, a sera, il nostro straordinario device, non sarà ancora più acuta la mancanza di un figlio, di un marito? Le mani guantate di sensori della signora Jang sono probabilmente l’assaggio di un futuro prossimo, magari per qualcuno desiderabile. Eppure proprio quelle povere mani materne che abbracciano il volto di una figlia immateriale ci riportano al dolore più antico dell’umanità. Il loro brancolare, cercando di stringere un corpo che non c’è, strazia. Il Paradiso, premendo un bottone? No, temiamo di no. A molti di noi la realtà virtuale non basterà.

Noi attendiamo la Resurrezione della carne, oltre che dello spirito. Noi sopravviviamo a certi troppo grandi dolori solo nell’umile e immensa speranza – per il mondo assurda – di ritrovare chi abbiamo amato. Ritrovarlo davvero, in un abbraccio che ci stringa davvero il petto, e sani finalmente il cuore. Il resto, è straordinario sogno digitale. Ma, appunto, sogno. Che è così poca cosa, di fronte al dolore degli uomini.

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