Caro direttore,
il Piano nazionale di ripresa e resilienza è ultima chiamata per l’Italia. Una sfida a cui siamo chiamati come sistema Paese, in tutte le sue componenti: politiche, economiche e sociali. Un’occasione da non sprecare, non solo per cogliere le opportunità degli oltre 200 miliardi messi a disposizione dall’Europa, ma soprattutto per avviare e realizzare il cantiere delle riforme strutturali di cui si parla da diversi decenni, sfiorandole, ma senza mai calarle realmente nella vita della nostra società. Siamo il nono Paese per esportazioni al mondo, un valore di 476 miliardi di euro, ma solo il ventunesimo per efficienza infrastrutturale. Per questo, ogni anno, perdiamo 60 miliardi di ulteriore export.
La sola spesa in infrastrutture, tra risorse previste da Def e Pnrr, potrebbe generare, come abbiamo calcolato con il Censis, un effetto leva da quasi 670 miliardi complessivi e creare 4,2 milioni di nuovi posti di lavoro. Quel lavoro che per tanti non c’è o è andato perduto, acuendo le fratture sociali di un’Italia che vede purtroppo crescere l’esercito dei poveri, che tocca la soglia degli 11 milioni (fonte Istat). Appare chiaro che dobbiamo investire in infrastrutture materiali, immateriali, ma soprattutto in infrastrutture sociali per uno sviluppo che poggi su una sostenibilità economica, sociale e ambientale. Condividiamo, perciò, l’allarme lanciato dal cardinale Bassetti all’appena conclusa assemblea della Cei.
Le cooperative, radicate sul territorio, frutto del protagonismo delle comunità, hanno per le loro caratteristiche la capacità di riconnettere il Paese e ricomporre le tante fratture che erano già presenti, ma che sono state aggravate dal Covid e dalla lockdown economy. Le cooperative, in tutti i loro settori, rappresentano una delle frontiere più avanzate dell’impresa sociale e dell’economia sociale di mercato di cui (non solo) l’Italia ha bisogno per uno sviluppo sostenibile e inclusivo. Formazione e innovazione rappresentano l’altra faccia della sfida che ci attende per sfuggire alla parabola del declino. Anche qui la corsa è in salita. Solo il 19,6% della popolazione tra 25 e 64 anni ha un titolo di studio secondario superiore, segnando un –13,6% rispetto alla media europea. Va peggio nel confronto diretto con la Francia (-18%) e con il Regno Unito (-25%). E le imprese ne risentono nella sfida dell’innovazione.
Fatto 100 il numero di quelle innovative con almeno 10 addetti, il 38% di esse non è dotato di personale laureato. Gap che si riduce solo al crescere delle dimensioni di impresa: il 13% con 50-249 addetti e il 2,9% con 250 addetti. È invece molto basso l’indice di digitalizzazione dell’82% delle imprese non innovative con 10 addetti. Il Pnrr potrebbe ricucire i destini economici tra Centro, Nord e Mezzogiorno. Secondo la Svimez la spesa del Pnrr, in particolare con la transizione ecologica e digitale, tra il 2021 e il 2026 potrebbe consentire al Sud una crescita del Pil fino all’11,6%. Un rimbalzo di cui gioverebbe l’intero Paese con 1% di Pil aggiuntivo.
Certo, c’è da affrontare il mostro della burocrazia che pesa su imprese e cittadini per 31 miliardi di euro e porta via alle imprese oltre 6 settimane per i 14 principali adempimenti fiscali. Confidiamo che il governo Draghi riesca nel 'disboscamento' che chiediamo da tempo e nel saggio riordino del Codice degli Appalti. Con l’applicazione italiana del Next Generation Eu possiamo davvero scrivere la pagina del rinnovamento di cui questo Paese ha bisogno tra gap da colmare e sviluppo da incoraggiare. Un’Italia con 23 milioni di lavoratori, 16 milioni di pensionati, 11 milioni di poveri e 10 milioni di studenti ha molte cose da riequilibrare. Il Pnrr è lo strumento per riuscirci.
Presidente di Confcooperative