giovedì 23 aprile 2020
Il dono di un racconto inedito che nasce dalla cronaca della pandemia
L’infermiera Elena Pagliarini, sfinita dalla stanchezza, fotografata dalla dottoressa Francesca Mangiatordi. L’immagine simbolo cui s’ispira il racconto

L’infermiera Elena Pagliarini, sfinita dalla stanchezza, fotografata dalla dottoressa Francesca Mangiatordi. L’immagine simbolo cui s’ispira il racconto - .

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Gabriella aveva voluto fare l’infermiera sin da piccola. E non aveva mai cambiato idea. Finché aveva realizzato il suo progetto. All’ospedale dove lavorava era apprezzata da tutti, anche se era ancora tanto giovane. Fino a qualche settimana prima lavorava nel reparto di medicina e le giornate trascorrevano tranquille. Anche i turni di notte non erano faticosi e quando andava a coricarsi all’alba, si infilava nel letto senza pensieri.

Poi, quasi di colpo, l’ospedale era diventato una specie di accampamento di guerra. Gli ammalati arrivavano a ripetizione ed erano quasi tutti spaventati.

– Mi curerete bene?

– Mi raccomando, non mi abbandonate. Gabriella aveva capito che era giunto il momento di spendere tutte le sue energie e di dare il massimo. Si sarebbe detto che non chiedesse di meglio. L’entusiasmo per il suo lavoro non lo aveva mai perso e ora più che mai le era necessario per affrontare una prova per lei sconosciuta. Così si era bardata con un camice speciale, cuffia, mascherina, guanti e altri mezzi di protezione, ed era entrata in campo come una guerriera per combattere una battaglia contro un astuto nemico. Passava da un letto all’altro, da un giovane a un anziano.

Tutti volevano raccontarle qualcosa di sé, tutti le dicevano che la loro vita era importante per gli altri. – Io devo guarire per forza. Mio marito ha bisogno di me.

– Ho una famiglia numerosa e sono l’unico che porta uno stipendio a casa. – Mia figlia si sposa tra qualche settimana. Rimanderà il matrimonio, lo so, ma quando ci sarà, voglio accompagnarla io all’altare. Gabriella rassicurava tutti. –Ci stiamo impegnando con tutte le nostre forze, abbiamo le migliori attrezzature a disposizione, faremo di tutto perché possiate tornare guariti dai vostri cari.

Era vero. Lei era instancabile e si offriva di restare in reparto più del tempo che le toccava.

Ma quando tornava a casa, era esausta. – Finirai con l’ammalarti anche tu – le diceva la madre preoccupata. Ma Gabriella la tranquillizzava.

– Mamma, di stanchezza non si muore. Per il resto, nessuno ci manda allo sbaraglio e ci sosteniamo a vicenda. E tuttavia un giorno, al termine del suo turno di lavoro, era crollata con la testa sulla scrivania e si era addormentata. Quando l’avevano svegliata, aveva chiesto scusa. Rossella, la sua collega, avrebbe voluto abbracciarla.

Ma non poteva farlo e l’aveva accarezzata sulla tuta. Tornando a casa, alla guida della sua piccola auto, Gabriella ripensava ai sogni della sua infanzia, al suo desiderio incrollabile di fare l’infermiera un giorno. Avrebbe voluto lavorare in un reparto di pediatria, avere a che fare tutti i giorni con i bambini. Invece aveva finito con l’occuparsi soprattutto degli anziani, di quelli che avevano la pelle tutta grinze, gli occhi erratici e smarriti e tanti ricordi da salvare.

Gabriella si ripromise di serbare tutte le loro storie, per farne uno dei tanti capitoli della sua vita.

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