sabato 22 luglio 2017
In Valle Trebbia un progetto europeo assiste gli abitanti dell'entroterra a casa loro, evitando l'ospedalizzazione e lo spopolamento del territorio
Il gruppo di cammino per tenere gli anziani in attività

Il gruppo di cammino per tenere gli anziani in attività

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«In passato, nella nostra area, sono stati attivati molti progetti di valorizzazione e promozione del territorio. Progetti spesso vuoti, pensati dall’esterno, capaci più di appagare l’interesse politico di chi li ha creati e promossi che di incede sulle dinamiche reali della nostra terra. Crediamo che questa volta possa essere diverso...». Sfogliando i rapporti depositati presso l’Agenzia per la coesione nazionale ci imbattiamo in questo preliminare di strategia. Riguarda la Liguria, ma potrebbe essere stato scritto ovunque. Infatti, i piccoli borghi, particolarmente quelli più poveri o marginali, sono le vittime dello Stato narciso, che nei decenni passati ha fatto pochissimo per applicare il principio di sussidiarietà e ha sacrificato l’autonomia sull’altare del patto di stabilità. Vogliamo raccontare alcune iniziative poste in atto da queste piccole Italie: solo progetti reali, che producono effetti. Perché certi idee altisonanti non portano a veri risultati e il nostro Paese merita spesso di più. Partiamo da Busalla.

Quando a Busalla c’era ancora l’ospedale, chi viveva sull’Appennino che dallo Scrivia s’inerpica verso l’Antola e il Tigullio si sentiva più protetto. «I medici erano gente di qua e non come adesso, che si deve andare fino a Genova», ricorda Cesare Bianchi. Ha visto chiudere ospedali e accorpare scuole, sparire postini e i medici condotti andarsene in pensione; quand’è nato, 88 anni fa, recarsi a Genova era un viaggio. Non che sia cambiato molto: il numero dei tornanti è rimasto lo stesso, la ferrovia da qui non è mai passata e il trasporto pubblico fa quel che può. Al bar Vanna di Casella tutti lo salutano con sussiego: può cambiare il mondo e possono chiudere gli ospedali, ma ogni mattina, dopo il caffè, 'il dottore' sarà dietro al banco della sua farmacia, appena un po’ stranito per questa fuga dall’Appennino ma fermamente convinto che non sia ancora arrivata l’ora di andarsene in pensione.


Sono passati dodici anni dalla chiusura del nosocomio di Busalla. Chi si ostina a vivere su queste ripe ombrose, intagliate dai torrenti che s’infilano dentro le gole abitate soltanto da cinghiali e poiane, deve contare solo sui propri mezzi. Innanzi tutto sull’automobile, indispensabile se abiti sui cocuzzoli dell’Antola dove la corriera passa ogni tre giorni. E poi sulla salute: «Alla peggio, arriva l’elisoccorso, tuttavia la prevenzione resta fondamentale. Sovente, basta un bicchiere d’acqua per restare in forma – spiega Antonella Fretto – e proprio per questo, siccome gli anziani si dimenticano di bere, una delle prime azioni del nostro programma di lavoro consiste nell’appendere una scheda al loro frigorifero e monitorare il consumo giornaliero di acqua e frutta. La stessa importanza rivestono l’attività fisica e i vicini di casa. Possono salvarti la vita».


Nelle valli dell’Antola e del Tigullio, che sono state scelte dalla Strategia Nazionale delle Aree Interne per sperimentare nuove politiche anti-spopolamento, le reti sociali esistono e funzionano: «Abbiamo scoperto che un settantenne, che vive da solo in una frazione isolata, era in preda a un’emorragia cerebrale solo perché un amico, passando davanti a casa sua per fare il fieno, l’ha visto 'strano'»: Antonella è un’infermiera di famiglia e di comunità, il nuovo volto dello Stato sociale che, soffocato dalla propria burocrazia e dai debiti, si fa cittadino tra i cittadini e li aiuta a contare di più e meglio sulle loro forze. Può sembrare una resa ed invece è resilienza: non potendo arrivare ovunque, ci si attrezza per aiutare gli anziani che vivono in aree marginali a tenere sotto controllo le patologie croniche, a ridurre il numero dei ricoveri evitabili e a ritardare il più possibile il trasferimento nelle residenze protette. Nell’entroterra genovese, vivere a casa propria e il più a lungo possibile è la priorità per oltre duecentomila anziani. Per molti di loro finire in ospedale a seguito di una patologia cronicodegenerativa rappresenta un dramma, ma lo è anche per i conti malfermi della sanità ligure: per evitarlo ci si è inventati per l’appunto gli infermieri di famiglia e di comunità (IFEC), istituiti nell’ambito del Programma di cooperazione territoriale Spazio Alpino della Ue. Sono operatori in grado di agire a livello preventivo attraverso la valutazione e la gestione dei bisogni di salute degli over 65, in collaborazione con il medico di medicina generale, rendendo più facile l’accesso ai servizi e sviluppando la socializzazione. Sono presenti nel comprensorio dell’Antola e presto li troveremo in altre valli, grazie al progetto Co.N.S.E.N.So. che è in via di sperimentazione in Liguria e Piemonte, nonché in alcune regioni francesi, slovene e austriache.

Antonella e i suoi colleghi sono un’avanguardia: altamente professionalizzati, ogni giorno scalano le montagne, spesso con la propria auto perché le risorse del servizio sanitario sono quelle che sono, per raggiungere gli utenti. Da queste parti, una volta si campava di agricoltura, quella povera dei castagneti. Adesso l’alta Valle Trebbia è il regno del gerbido: a Fascia, Fontanigorda, Gorreto, Torriglia, Montebruno, Propata, Rondanina e Rovegno non c’è ospedale né ambulatorio. A settembre, anche il medico di famiglia andrà in pensione. Siamo in una delle zone meno popolate della Liguria e con l’indice di vecchiaia più alto: se a Genova il rapporto tra over 65 e under 15 è 240, a Fasce raggiunge quota 5.400. L’Asl 3 ha creato guardie mediche, prelievi a domicilio e ambulatori mobili. Ora mette a disposizione di 'Consenso' tre infermieri nel distretto 12, che segue l’alta Val Trebbia. In autunno, il progetto sarà adottato dalla Strategia Nazionale Aree Interne, pensata per i territori lontani da servizi e infrastrutture di comunicazione, che devono riallinearsi agli standard del resto del Paese. Gli esperti della presidenza del Consiglio collaborano a progetti locali che vengono finanziati con la legge di Stabilità.

Nella Liguria profonda, il binomio invecchiamentospopolamento si può affrontare intervenendo sulla mobilità e sulla domiciliarizzazione dei servizi; insomma, non si inventa nulla ma si valorizza quello che c’è, disegnando «una strategia collettiva - recita il preliminare dell’Agenzia per la coesione territoriale -, incarnata da persone competenti e desiderose di portare cambiamento sul territorio». Esattamente come questa infermiera cinquantenne che insieme a due stagisti assiste cinquecento anziani: «Li contattiamo e andiamo a visitarli, a casa loro, verificando che abbiano la legna per riscaldarsi, che si nutrano correttamente, che seguano le prescrizioni del medico e che siano in buona relazione con i vicini», racconta. Non fa medicazioni né punture; lavora sulla prevenzione e sulla rieducazione. Ha frequentato un master europeo e, per quanto ai più possa sembrare strano un infermiere sprovvisto di garze e siringhe, mescolando competenze di fisiopatologia e socio assistenziali Antonella contribuisce a salvare delle vite. «La povertà in questa regione è peggiorata con la crisi e si tagliano le spese sulla legna e sull’alimentazione – spiega –; ad esempio durante una visita domiciliare abbiamo incontrato un malato di diabete che versava in condizioni critiche. È stato ricoverato, abbiamo attivato i servizi sociali e ora riceve il contributo per cibo e legna».

Per qualche storia a lieto fine, c’è comunque un vasto territorio che soffre. «Non abbiamo immigrati perché non c’è lavoro e non ci sono scuole né servizi. Per vivere a Montebruno bisogna volerlo»: Mirko Bardini è il giovane sindaco del comune di fondovalle. Conta 240 anime e una quarantina sono giovani, ma solo perché qui ci sono la banca e la posta: «Il martedì scendono gli abitanti dei Comuni, dove non è rimasto aperto neppure un negozio. Se però ci tolgono le Poste anche noi siamo rovinati», ammette il primo cittadino. Sulle guide, l’alta Val Trebbia è descritta ancora come un paradiso, benché Torriglia, buen retiro dei genovesi negli anni Settanta, sia il fantasma di se stessa; della 'piccola Svizzera' rimane solo la tradizione dei canestrelli. L’economia diffusa del fungo porcino è stata soffocata dalle leggi e in attesa che nasca il distretto della mountain bike e della pesca sportiva di cui tanto si parla si deve pur badare a chi è rimasto. «Ciò che manca agli anziani è la voglia di muoversi – sottolinea l’infermiera – ed è la ragione per cui abbiamo creato, sulla base di un’esperienza genovese, il gruppo di cammino». Cioè lunghe passeggiate in montagna e lezioni di ginnastica per ultrasessantacinquenni che non si arrendono agli acciacchi e scoprono nella gioia di stare insieme. Chiacchierando di ricette e di nipoti si vince anche la paura: «Io e mio marito siamo tornati in una frazione di Fascia perché qui ci sono le nostre radici; non ci sono le stesse comodità, ma se ci si attrezza la vita in montagna non è difficile come si dice. Abbiamo creato il gruppo Amici di Carpineto e nessuno si sente solo. Si organizzano feste e iniziative, si vive e ci si protegge insieme». A parlare così è Maria, che non si perde un’escursione del gruppo di cammino e ha appena superato la quarta recidiva del linfoma non Hodgkin.

PICCOLA GRANDE ITALIA. Le altre puntate:

Ostana (Cuneo) Arrivano i nuovi occitani e si ripopola la montagna

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