giovedì 25 aprile 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Quest’anno il 25 a­prile ricorda an­che i sessant’anni da un evento che ha inci­so profondamente nella storia della scienza, della cultura e della società. Nel 1953 infatti fu pubbli­cato sulla rivista Nature di Londra il contri­buto di James D. Watson e Francis H.C. Crick all’identificazione della principale struttura molecolare dell’acido desossiri­bonucleico, il Dna.
I due studiosi del Ca­vendish Laboratory di Cambridge comuni­carono al mondo scientifico la loro scoper­ta in poche righe, la cui precisione e conci­sione sorprende ancora oggi (solo 5.400 battute e un disegno), l’importanza straor­dinaria della quale non sfuggì poco dopo ai colleghi più attenti e curiosi e, successiva­mente, a tutti gli scienziati. Come ricono­sciuto dagli stessi autori nella chiusa del­l’articolo, non si deve dimenticare l’appor­to di altri due ricercatori, Maurice H.F. Wilkins (che condivise con Watson e Crick il Nobel nel 1962) e la giovane e brillante cristallografa Rosalind E. Franklin, morta a soli 37 anni per un carcinoma ovarico, pro­babile conseguenza della sua esposizione ai raggi X nel corso degli studi, e rimasta u­milmente nell’ombra di questa scoperta.
Gli anniversari scientifici non sono solo un’occasione celebrativa ma offrono l’op­portunità di riflettere sul significato di una scoperta o di un’invenzione, sull’impatto nella teoria e la tecnologia, come nelle im­plicazioni di tutto questo per la compren­sione dell’uomo e del mondo, per le scelte con cui si confrontano la nostra libertà e la nostra coscienza, per la quotidianità della vita individuale e sociale. Una volta acqui­site, l’intelligenza della realtà e l’abilità tec­nica di intervenire su di essa non lasciano mai l’uomo come prima.
Il sapere e il saper fare cambiano lo sguardo sulla propria vita, su quella dell’altro e sulla società, offrono opportunità inedite di progettare e costrui­re, non solo di capire e di scalfire la realtà. Come aveva intuito Francesco Bacone, «la mano nuda e l’intelletto abbandonato a se stesso servono a poco. La scienza e la po­tenza umana coincidono» (Novum Orga­num, 1620). Il 'potere' che la conoscenza dell’architet­tura genetico-molecolare dei caratteri u­mani e dei processi fisiopatologici che pre­siedono al loro sviluppo e alla loro trasmis­sione ha messo nelle mani dell’uomo è e­norme, inaudito, quanto imprevedibile e imprevista è stata la loro scoperta.
Non è solo il valore conoscitivo e la fecondità per gli sviluppi scientifici e tecnologici succes­sivi dell’intuizione di Watson, Crick, Wilkins e Franklin a rendere degna di noto­rietà anche presso il pubblico dei non ad­detti ai lavori questa scoperta, ma lo sono anche (e, forse, soprattutto) le conseguenze che essa ha avuto e continua ad avere sulla 'autocomprensione genetica' dell’uomo e degli altri viventi (si pensi alla popolarità progressivamente guadagnata dal Dna co­me 'icona della vita'), le relazioni di con­sanguineità (i test di paternità e maternità sempre più richiesti) e le prove di colpevo­lezza (il ricorso alla genetica forense è in continua crescita). Sono però la ricerca biomedica e la pratica clinica da una parte, l’agronomia, la zoo­tecnia e gli ecosistemi dall’altra, a manife­stare con più imponenza quanto la scienza e la tecnologia del Dna abbiano avuto un influsso straordinariamente incisivo e per­vasivo sullo studio e la manipolazione della vita umana, dell’animale e del vegetale.
La nostra libertà e la nostra responsabilità so­no sfidate, come mai nella storia dell’uma­nità, dalle innumerevoli possibilità offerte dalla capacità di intervenire sulla sequenza del Dna per analizzarlo, selezionarlo o mo­dificarlo, grazie alla conoscenza della sua struttura intuita per prima volta ses­sant’anni fa. Quando, in una sera primaverile del 1953, Francis Crick entrò nell’Eagle Pub di Cam­bridge gridando a tutti quelli che stavano sorseggiando un boccale di birra «abbiamo scoperto il segreto della vita!» non prevede­va certo tutto quello che sarebbe accaduto. Ma quell’urlo presagiva già la potenza della scoperta e le sue conseguenze per le gene­razioni successive.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: