mercoledì 15 febbraio 2012
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​La crisi è pesante, ma non esiziale (non ancora almeno, e speriamo mai). La precarietà è un grave problema, ma non la norma per tutti i lavoratori. Anche senza voler guardare per forza al bicchiere mezzo pieno, gli ultimi dati sul mercato del lavoro non sono così negativi. Meglio: non sono «tragici» come molto spesso vengono dipinti. Con i colori forti di alcune percentuali e perdendo di vista le quantità assolute, che invece raccontano un’altra realtà, meno spettrale.Prendiamo il caso del rapporto sulla coesione sociale, diffuso da ministero del Lavoro, Istat e Inps. Fra i molti dati, spiccavano quelli relativi al flusso dei contratti stipulati nel primo semestre del 2011. Sono stati 5 milioni e 325mila. Di questi il 67,7% erano assunzioni a tempo determinato, il 19% contratti a tempo indeterminato, l’8,6% rapporti di collaborazione e il 3% nuovi contratti di apprendistato. Da queste percentuali sembrerebbe che i contratti a tempo indeterminato siano ormai all’estinzione. In realtà, occorre tener conto che i contratti di lavoro a termine per loro natura si ripetono molte volte rispetto allo stesso “posto” in un lasso di tempo dato, mentre quelli a tempo indeterminato nel corso di 6 mesi di norma riguardano una sola volta lo stesso “posto” con un solo lavoratore. È chiaro allora che sul totale dei contratti stipulati, quelli temporanei presenteranno percentuali più elevate, mentre quelli a “posto fisso” più basse. Se infatti proviamo a ragionare in termini di numeri assoluti, il quadro è assai meno fosco. I dati ci dicono che nei primi sei mesi del 2011 ben 1 milione e 11mila lavoratori hanno trovato una nuova occupazione “sicura” a tempo indeterminato, passando da un posto all’altro o debuttando nel mercato del lavoro. Nella stessa tipologia le cessazioni sono state 970mila, quindi c’è un saldo attivo di occupazione di qualità di 40mila unità nel semestre. Un sospiro di sollievo in un periodo di crisi, nel quale si dice che il “posto fisso” è solo un’illusione.Accanto a queste “illusioni” evidentemente realizzate, ci sono circa 160mila nuovi apprendisti e 457mila collaborazioni (in questo caso i lavoratori potrebbero essere meno, data la possibilità di cumulare più rapporti). Rimangono i contratti a tempo determinato che sono stati quasi 3 milioni e 700mila. Ma questi sono rapporti che si ripetono e non riguardano necessariamente un pari numero di lavoratori. Quanti sono? Il numero assoluto non è esplicitato, ma il rapporto tra assunzioni e lavoratori è pari a 1,46 e quindi circa 1 milione e 900mila lavoratori si sono “spartiti” quasi 3 milioni e 700mila assunzioni a tempo. Tra queste hanno fatto particolare scalpore quelle da 1 giorno – in prevalenza per supplenti e camerieri – ammontate a ben 687mila. Anche in questo caso, però, occorre considerare le molte ripetizioni possibili nel semestre. Il numero assoluto degli interessati è impossibile da ricavare dalle statistiche. Ma se – per ipotesi – fossero stati attivati in tutti i 130 giorni lavorativi del semestre, il fenomeno riguarderebbe non più di 5.200 persone. Un dato infine va sempre tenuto presente: nel complesso dei lavoratori, quelli a tempo indeterminato sono il 87% (in calo dello 0,5%), mentre solo il 12,8% ha un contratto temporaneo, meno della media europea.Non per questo “va tutto bene, madama la marchesa”: la precarietà è un problema e fra i giovani il “posto fisso” è diminuito di quasi l’8%. Occorre però guardare al mercato del lavoro con il realismo dei numeri e delle giuste proporzioni e non agire per pennellate impressionistiche.
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