Le alleanze possibili per non restare immobili
venerdì 6 aprile 2018

La teoria dei due forni: recentemente non sono mancati coloro che, a proposito delle possibili maggioranze 'variabili' incentrate sul M5s, hanno richiamato questa espressione di andreottiana (non degasperiana né morotea) memoria. Si tratta cioè dell’idea di allearsi ora con gli uni (di destra) ora con gli altri (di sinistra), in funzione dei propri obiettivi. Mentre De Gasperi e poi Moro intendevano le alleanze di governo come 'strategiche' (il centrismo per De Gasperi, il centrosinistra per Moro) e in funzione di un’idea di società e di un progetto di riforma, la visione andreottiana dei due forni guardava ad accordi 'tattici' e perciò alla reversibilità delle alleanze (mai veramente strategiche). Ecco allora che vi è oggi chi vede il M5s in una centralità tale da poter alternativamente scegliere un possibile (e transitorio) alleato alla sua destra (la Lega di Salvini) o alla sua sinistra (il Pd e LeU): usando questa stessa possibilità di scelta per 'ammorbidire' le condizioni poste dall’uno o dall’altro. Non è avventato prevedere che questo eventuale tatticismo sia oggi poco efficace e che, se il M5s non approfondirà analisi e riflessione, questa 'duplicità' finirà per apparire 'doppiezza' e, soprattutto, incapacità politica.

Il M5s è finora vissuto, comprensibilmente, nell’effervescenza gassosa tipica di un giovane movimento allo 'stato nascente'. E così, come realtà gassosa, ha assunto la forma del contenitore in cui via via si trovava. In sostanza, ha goduto della possibilità di una quasi perfetta adesione a ogni effervescenza sociale. Ora però, per essere all’altezza del suo stesso successo e per passare, come legittimamente reclama, a una fase di governo, deve assumere un profilo solido, chiaro e distinto. Pur conservando, auspicabilmente, l’intransigenza sulla moralità, soprattutto al proprio stesso interno, dovrà mostrare la capacità di raffreddare certi estremismi e comunque acquisire una vera solidità governante. A tal fine potrà - in modo esplicito e diretto o in forma più mediata - comunque scegliere tra due possibili configurazioni stabili e solide, dunque con respiro strategico, entrambe in questo momento plausibili: ma non tra loro equivalenti e soprattutto non intercambiabili, perché alternative in essenza. La scelta diventerà necessaria l’anno prossimo, in occasione delle elezioni europee.

Una prima possibilità, un primo 'modello strategico' (intendendo con questa espressione sia una prospettiva ideologica chiara a livello europeo sia una omogenea politica di alleanze politiche) potrebbe andare nel senso di una trasformazione del populismo in un più tradizionale assetto popolarnazionale, che renderebbe logico un legame stretto, quasi federativo, con la Lega Nord (e forse con altri settori delle Destre), e una permanenza - nel Parlamento europeo - nel gruppo Europa della Libertà e della Democrazia diretta. Non ci sarà più l’inglese Farage (a causa della Brexit), ma il gruppo potrebbe avere una nuova consistenza proprio per la confluenza in esso, insieme, dei parlamentari di Lega e M5s (del resto, in passato, il leghista Speroni prima e Borrelli poi ne sono stati vicepresidenti). Più in generale, il modello potrebbe essere in qualche modo paragonato a quello storico tedesco di una Cdu, più moderna, alleata di una Csu, partito regionale più reazionario e quasi xenofobo: con il M5s nei panni, ovviamente, della Cdu e la Lega in quelli della Csu bavarese. Naturalmente questa realtà politica non avrebbe nulla a che spartire con la vera Cdu e con Angela Merkel, con la quale - in ogni caso - il M5s potrebbe forse dialogare meglio che non la Lega salviniana.

Un secondo modello, tuttavia, si potrebbe intravedere considerando appunto le precedenti, contrastate, evoluzioni del gruppo M5s al Parlamento europeo e segnatamente il tentativo fallito, del gennaio 2017, di approdare all’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (Alde), gruppo che aveva avuto precedentemente al suo interno i membri del Partito Democratico eletti con la Margherita, i Radicali e l’Italia dei Valori. Com’è noto il Pd ha poi abbandonato l’Alde, nel 2009, aderendo all’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici. Se, dunque, l’approdo del M5s a tale raggruppamento democratico di centro non si è realizzato, non è detto che il M5s non possa rientrare nel sommovimento che certamente riguarderà quest’area politica alle prossime europee del 2019. È infatti più che probabile che il presidente francese Macron si faccia promotore di una ricomposizione del centro, attorno al suo nuovo movimento. Un’alleanza di En Marche con il M5s (e con altri gruppi come lo spagnolo Ciudadanos) potrebbe contare molti parlamentari e rappresentare una forza ragguardevole, forse addirittura la prima. Molti segnali mostrano che il M5s stia muovendosi in questa direzione. Attualmente Macron non sembrerebbe interessato: ma non è detto che debba essere sempre così, soprattutto quando gli sarà evidente che non ci saranno altre forze consistenti in Italia in grado di allearsi con lui. Questo modello appare, rispetto al precedente, più spostato a sinistra: ma si consideri – questo giornale lo ha già rimarcato in un’ampia analisi di Marco Morosini – che (secondo VoteWatch , il sito Internet che osserva le votazioni degli eurodeputati), nella prima metà della legislatura del Parlamento europeo, i rappresentanti del M5s hanno votato prevalentemente come la Sinistra europea (nel 74,2% dei casi) e come i Verdi (per il 72,9%). Ovviamente, nel caso di questo modello di centro liberal-democratico, l’alleato naturale, in Italia, diventerebbe il Pd.

Viene da escludere una terza possibilità, in astratto possibile, e che cioè il M5s permanga ancora in uno stato gassoso e isolato. È infatti una possibilità estremamente improbabile, che segnalerebbe un’immaturità strutturale e perciò un’ineliminabile marginalità e un inevitabile declino. Forse in Italia alcuni, a destra e a sinistra, ci sperano: ma, come detto, sembra un’ipotesi remota. Un’ultima considerazione si impone. La Lega di Salvini avrebbe tutto l’interesse a propiziare e favorire l’evoluzione del M5s nel senso del primo modello: ma per farlo deve prima o fagocitare Forza Italia o rompere con tale alleato (che nell’Europarlamento fa parte del Gruppo maggioritario popolare): due condizioni non proprio all’orizzonte. Analogamente il Pd avrebbe interesse a stimolare il secondo tipo di evoluzione. Ma il Pd sembra tramortito dall’esito elettorale e paralizzato sulla più che opinabile considerazione «gli elettori ci hanno assegnato il ruolo di opposizione» (chi ha votato il Pd lo ha fatto perché governasse; il fatto è che molti non l’hanno più votato perché hanno giudicato che avesse governato male: il problema è un’autocritica sul governo passato, non uno sterile immobilismo politico, impropriamente denominato 'opposizione').

Docente di Storia della Pedagogia all’Università di Modena e Reggio Emilia

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