giovedì 23 giugno 2011
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Caro direttore,la grande coalizione tedesca (in sella dal 2005 al 2009) ha vinto una sfida su cui qualche anno fa, quando prese corpo, complice l’incertezza degli esiti delle elezioni, ben pochi, specie in Italia, erano disposti a scommettere. Ora la Germania detta l’agenda all’Unione Europea, è il Paese che ha i più elevati tassi di crescita e interviene in maniera pesante sulla politica monetaria della Bce, imponendo aumenti del tasso di sconto che penalizzano economie che arrancano come la nostra. Eppure nessuno, tranne mi pare il leader dell’Udc Casini, nonostante la crisi economica sempre più aggravatasi negli ultimi mesi, si sogna di riproporre un governo di unità nazionale con l’individuazione di alcune priorità da raggiungere e il coinvolgimento di un arco ampio di forze politiche e che vada oltre la tradizionale distinzione fra centrodestra e centrosinistra. Ma perché quello che è accaduto in Germania non avrebbe potuto (o non potrebbe in futuro) essere possibile in Italia?

Giuseppe Barbanti, Mestre

Storie e costumi politici non sono uguali ovunque. Non è detto, quindi, caro signor Barbanti, che le grandi coalizioni alla tedesca siano sempre una risposta sensata e utile ai problemi di un Paese (o anche solo quelli della sua politica...). Così come non è detto che una grande coalizione sia necessariamente destinata – in una ipotetica versione nostrana – a rivelarsi un pateracchio e un deleterio "inciucio". Non mi pare, comunque, che la questione sia all’ordine del giorno, qui in Italia: non ci sono né i leader né i sentimenti istituzionali per poterla concepire. E i toni del dibattito che, in questi giorni, sta accompagnando – secondo un arcinoto copione – la verifica di maggioranza in Parlamento ne sono la più eloquente conferma.È vero, certo, che siamo entrati in una ulteriore transizione dagli esiti imprevedibili, ma nessuno mi sembra disposto – almeno sinora – ad aprire un tempo speciale nella vicenda politico-istituzionale, mettendo le priorità e le evidenti grandi urgenze dell’Italia davanti a tutto, anche agli interessi di schieramento e di fazione. Sarebbe già molto se questa fase delicata, piuttosto che a un qualche grande abbraccio governativo, portasse a una dialettica politica davvero degna di questo nome, proiezione di una seria ristrutturazione, anzi di una vera e propria rigenerazione (sul piano generazionale, dello stile personale e degli ideali fondativi) del vecchio "bipolarismo furioso". E comincio a pensare che se il processo non partirà dall’alto, cioè da chi già risiede nei palazzi politici, l’onda riprenderà inesorabilmente a salire dal basso, cioè da quelle realtà sociali, associative e di "rete" che l’attuale politica continua a non calcolare e a non interpretare (ma che stanno riuscendo a farsi sentire).Sono realtà vive, "abitate" da persone che in queste giorni stanno guardando sbalordite lo spettacolo del cosiddetto "caso Bisignani", della cui rilevanza penale sapremo con esattezza solo fra qualche tempo, ma che intanto scuote e comunque indigna per ciò che fa vedere del sottobosco politico-parlamentare, dei suoi riti disdicevoli, delle sue ammiccanti prepotenze e delle sue malizie e delle sue camarille trasversali.In fondo, caro amico, la vera "grande coalizione" che serve e che va resa possibile è semplicemente quella tra Paese reale e mondo politico. Tra chi vota e chi è votato ci vogliono strade e canali di comunicazione sgombri. E questo significa prima di tutto ricreare quel vitale e onorevole collegamento tra rappresentati e rappresentanti che ben noti e infausti meccanismi elettorali – lo scrivo da anni – hanno reso arduo o addirittura nullo. E, poi, si sa e si dovrebbe ricordarlo sempre: la politica "brutta" produce orrenda sottopolitica.
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