venerdì 17 giugno 2022
Pubbliche o privatizzate ma accessibili a tutti? Le risorse idriche di un pianeta che ne consuma a ritmo crescente si fanno sempre più preziose I costi da sostenere ora esigono regole adeguate
L'acqua per tutti ha un prezzo, ma non siano i poveri a pagarlo

Ansa

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L'articolo del gesuita padre Étienne Perrot, del quale proponiamo alcuni stralci, è pubblicato nel fascicolo 4128 del quindicinale "Civiltà Cattolica" (18 giugno-2 luglio) con il titolo "L'acqua una questione di attualità". Il nuovo numero della rivista diretta da padre Antonio Spadaro, che si apre con il resoconto della conversazione del Papa con i direttori delle riviste culturali europee dei gesuiti anticipato nei giorni scorsi da Avvenire, reca anche un articolo del preposito generale della Compagnia di Gesù padre Arturo Sosa su "L'incontro come dimensione delle culture e via della pace" oltre a riflessioni sulle prospettive delle conoscenze astronomiche schiuse dal nuovo telescopio spaziale lanciato a Natale 2021 e a un saggio sulla rinnovata attualità dell'Ulisse di Joyce.

Sotto l’effetto del riscaldamento globale, il livello del mare si sta innalzando, al punto di allagare intere regioni, mentre quello dei laghi e delle falde acquifere si sta abbassando. L’innalzamento del livello del mare, causato non solo dallo scioglimento dei ghiacciai e dei poli ma anche dall’aumento della temperatura dell’acqua del mare, accresce la pressione dell’acqua salata su quella dolce nelle zone costiere. Il problema dell’acqua non può che peggiorare, perché, anche tenendo conto dell’evoluzione degli standard di vita e delle esigenze dell’agricoltura e dell’industria, le risorse sfruttabili del pianeta non potranno bastare per gli 11 miliardi di abitanti previsti per l’anno 2100. Sommando tutti gli usi dell’acqua, il consumo oggi raggiunge i 4.000 litri al giorno pro capite. I circa 12.000 chilometri cubi di ricarica naturale delle falde acquifere non saranno sufficienti, tanto più che la distribuzione molto disuguale dei prelievi e delle ricariche dalle falde acquifere fa aumentare drammaticamente la desertificazione.

Ci sono senza dubbio alcune tecniche per ricaricare le falde acquifere: bacini di infiltrazione, pozzi di iniezione, deviazione dei corsi d’acqua per convogliare parte della corrente, stoccaggio dell’acqua piovana, per non parlare delle nuove tecniche di produzione dell’acqua potabile: oltre alla desalinizzazione dell’acqua di mare (che consuma però molta energia), il miglioramento dei processi igienico-sanitari, lo sfruttamento degli iceberg e l’utilizzazione del vapore acqueo dall’atmosfera e dalle nuvole. Ma le condizioni geologiche e climatiche di tali tecniche rispondono in maniera solo marginale al problema della rigenerazione dell’acqua. In questo settore vitale, come in molti altri, notiamo innanzitutto le carenze dell’autorità pubblica: nessun obiettivo preciso – in mancanza di una quantificazione –, né mezzi proporzionati per affrontare questa sfida strutturale. Finora, i controlli sembrano insufficienti. Inoltre, vengono concesse sempre più autorizzazioni – a volte attraverso la corruzione –, per permettere a determinate colture di superare le dosi consentite di fertilizzante azotato (170 chilogrammi per ettaro l’anno). Sul pianeta c’è sempre la stessa quantità di acqua, ma non della stessa qualità. In passato, bastava la natura per rendere sicura l’acqua. Gli strati superficiali del suolo filtravano le acque reflue; le piante e le radici neutralizzavano quasi tutti gli inquinanti. Oggi non è più così. L’agricoltura intensiva scarica nel terreno nitrati, fosfati e pesticidi; l’industria sversa policlorobifenili e altri coloranti; gli esseri umani immettono in circolo residui chimici di farmaci e detergenti: ognuno agisce come se fosse il proprietario dell’acqua, potendola usare, sprecare e maltrattare.

Dietro le questioni della gestione e della distribuzione dell’acqua c’è lo spinoso problema della proprietà privata delle fonti e delle risorse idriche. Come classificare gli innumerevoli contadini del pianeta che si appropriano dell’acqua dei loro pozzi o delle sorgenti che sgorgano sulla loro terra, o addirittura installano pompe che attingono acqua dalle falde acquifere per innaffiare campi e giardini? Comuni e circoscrizioni si stanno organizzando ovunque per raccogliere l’acqua e distribuirla tra loro a un prezzo inferiore a quello offerto dai servizi idrici gestiti dal privato o da un ente comunale, cercando di distribuire le risorse idriche e i relativi costi in modo più equo su un territorio più ampio. Qui si manifesta crudelmente l’ambivalenza dei fenomeni di rete: da un lato, l’aiuto per coloro che ne fanno parte (che in questo caso sono, letteralmente, 'connessi' alla rete); dall’altra, l’estromissione delle popolazioni escluse, con grave danno della solidarietà, che dovrebbe imporsi in una questione così vitale.

Che si tratti di fiumi, laghi, falde acquifere (acque sotterranee), vapore acqueo nell’atmosfera o nuvole, sorgono delle domande – rese obbligatorie dalla destinazione universale dei beni – non appena l’appropriazione da parte di alcuni limiti quella di altri. L’acqua che sgorga da un terreno appartiene al proprietario di esso in maniera simile alla maggior parte delle sorgenti di acqua minerale vendute in bottiglia? L’acqua sanificata appartiene all’ente pubblico o all’azienda sanitaria? L’acqua di una diga appartiene al costruttore, al Comune o alle popolazioni dei bacini idrografici? Chi deve pagare per l’acqua potabile sprecata nei tubi che perdono? Si stima che, a seconda del Paese, tra il 30% e il 50% dell’acqua potabile venga sprecata a causa di perdite del sistema idrico. Tenuti nascosti, questi problemi di appropriazione delle risorse idriche sono la causa di molti insuccessi nelle privatizzazioni, incoraggiate dal Fmi e dalla Banca Mondiale in nome del rigore economico, e previste da comuni o da Stati – ad esempio, dalla Colombia –, avendo bisogno di razionalizzare e universalizzare la loro rete di distribuzione dell’acqua. All’impresa privata o all’ente pubblico viene concesso di accedere a fonti di cui in precedenza si era appropriata una comunità locale, con conseguenti conflitti a volte di grande violenza.

Poiché l’acqua ha un costo, gli economisti si allontanano dal concetto di diritto universale per prendere in esame ciò che conoscono meglio, il concetto di merce. Di lì a favorire una gestione privata c’è solo un passo da fare, che richiede però un discernimento. Acquisita da un individuo, da una piccola comunità o da un’azienda privata, l’acqua potabile di- venta una merce in balìa dei capricci della speculazione finanziaria, con grande danno per i più poveri. Oltre all’appropriazione delle riserve idriche, la distribuzione dell’acqua consente vari tipi di privatizzazione. Se le regole non sono buone, se la negoziazione del contratto è stata viziata o, peggio ancora, condizionata da qualche forma di corruzione, il risultato della privatizzazione è disastroso. Il punto più delicato – generalmente trascurato da chi si oppone alla privatizzazione – è lo stato di degrado dei sistemi idrici messi a disposizione delle aziende private, che devono poi ripristinarli. Per questo è fuorviante sostenere che nella maggior parte dei casi il prezzo dell’acqua aumenta, o che la qualità del servizio peggiora, quando la gestione diventa privata. Perché, nel migliore dei casi, questo aumento non fa che reintegrare nel prezzo la manutenzione e gli investimenti che non erano stati fatti in precedenza. Poiché l’acqua non è più gratuita, sorgono subito domande concrete. Chi dovrebbe pagare per il trasporto e per la depurazione: il consumatore, dal momento che l’acqua ha un valore di mercato, o il contribuente, dal momento che l’acqua – come in passato quella della fontana comunale al centro del paese – è un bene pubblico? Chi dovrebbe gestire le reti di approvvigionamento idrico e igienicosanitario: un’autorità pubblica o un’azienda privata?

Pro o contro la privatizzazione? Gli esempi abbondano in un senso o nell’altro. Occorre esaminare di volta in volta ciò che è stato oggetto di negoziazione: l’acquisto di una rete esistente, con o senza un’adeguata regolamentazione? Il suo noleggio? La sua manutenzione? Una concessione con obiettivi e sanzioni specificati dal contratto? La creazione di un serbatoio d’acqua? La fornitura di infrastrutture o attrezzature? La bonifica dell’acqua rientra negli obblighi negoziati? Occorre tener conto di tutti questi elementi, quando si vogliono confrontare le varie modalità di gestione, pubbliche, private o miste. Sinora ognuno ha agito come se fosse proprietario dell’«oro blu», potendolo sprecare. Ma clima e sviluppo impongono di cambiare registro.

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