sabato 28 febbraio 2015
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Quando nel 1931 Curzio Malaparte diede alle stampe il suo graffiante pamphlet dal titolo Tecnica del colpo di Stato – così incisivo e profetico nel delineare la fisionomia e le debolezze di ogni dittatore che sia Lev Trockij sia Adolf Hitler lo misero al bando, ordinandone il rogo – non avrebbe immaginato che il ritratto del perfetto golpista si sarebbe attagliato a meraviglia alla figura non certo titanica del venezuelano Nicolás Maduro. Ma ciò che sta accadendo in questi giorni a Caracas e nel vasto Paese sudamericano non fa che confermare il crepuscolo di quel chavismo che già negli ultimi mesi della malattia del suo sulfureo fondatore andava sbiadendo fra crisi economica, tensioni sociali e una drammatica perdita di consenso. Il Venezuela sta pagando carissima la crisi economica. Gli scaffali dei supermercati sono cronicamente vuoti, gli ospedali rimandano a casa i pazienti meno gravi per carenza di medicinali, i beni primari scarseggiano, la violenza nelle strade è endemica, come la corruzione, e l’inflazione nel 2014 ha sfiorato il 70%, così come il crollo verticale dei prezzi del petrolio ha sottratto al governo non solo la principale fonte di ricavi del Paese, ma soprattutto l’impareggiabile strumento – di fatto una forma di welfare paternalistico – sul quale Hugo Chavez aveva costruito il proprio consenso, ottenendo con elemosine a pioggia il favore del grosso delle classi meno agiate. Le stesse riserve valutarie non arrivano a 20 miliardi di dollari, ma almeno 12 miliardi provenienti da banche statali sono stati stivati nei conti segreti in Svizzera e sono venuti alla luce con la famigerata Lista Falciani.I fatti degli ultimi giorni peggiorano – se possibile – questo quadro. Giusto un anno fa vi furono proteste e incidenti nel corso dei quali morirono almeno quaranta persone. Nell’anniversario di quel moto popolare un ragazzo di quattordici anni ha perso la vita durante una manifestazione a San Cristobal, nello stato occidentale di Tachira. Il governo accusa la destra radicale e il «complotto fascista» di soffiare sul fuoco. Come insegna la tecnica di ogni golpe, per attuarlo bisogna gridare al golpe. E così fa Maduro. Pochi giorni fa è stato arrestato il sindaco di Caracas, Antonio Ledezma. L’accusa, «presunto coinvolgimento in un complotto mirato a organizzare e lanciare atti violenti contro il governo eletto democraticamente». Il principale avversario di Maduro è un oppositore democratico. Si tratta di Henrique Capriles, leader di Primero Justicia, che all’indomani della morte di Chavez perse di misura la sfida con Maduro e che tuttora cerca di unificare tutte le forze politiche che chiedono un cambio di governo. Ma non è a Capriles che il caudillo al potere guarda in questi giorni, bensì alle frange più oltranziste dell’opposizione di destra. Come il gruppo che fa capo a Maria Corina Machado, ex deputata, che a mezze parole sostiene la necessità di un’insurrezione armata contro il governo. Nel mezzo, la palude silenziosa delle classi abbienti, che con Chavez avevano in qualche modo stabilito una tregua forzata e che ora attendono gli eventi sperando che il cambiamento sia meno traumatico di quanto si teme. Preoccupazione condivisa in tutto il continente, da Washington all’Uruguay: la prospettiva di un golpe militare di sinistra pilotato da Maduro – dicono i rapporti dell’intelligence – è quanto mai realistica. La tecnica del resto è elementare (i manuali e le tante Maidan degli ultimi anni, da Tahrir Square al Cairo a Piazza Taksim a Istanbul fino a Kiev insegnano): fomentare moti, alzare la temperatura della protesta, provocare la "giusta" reazione del governo. Il cui principale quanto scellerato alleato sarebbe proprio quella destra violenta che senza dubbio ha la sua parte di responsabilità. Una tenaglia feroce, che stritolerebbe anche la residua chance del presidente in carica di giocare un ruolo da protagonista positivo nell’ancora possibile uscita democratica da questa crisis vertical.
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