domenica 27 aprile 2025
La speranza è la certezza di avere radici profonde votate a primavera
COMMENTA E CONDIVIDI

Al fondo di ognuno di noi la vita sta lavorando Se non è adesso il momento della fioritura, l’inverno non è il tempo del nulla. È invece il tempo dell’impegno nascosto Nelle domeniche dell’Anno Santo “Avvenire” ospita voci credenti e laiche per offrire spunti di riflessione a partire da domande ispirate dalla Bolla di indizione del Giubileo. Qual è, oggi, la speranza che “non delude”? Quali speranze nutrono il nostro sguardo sul futuro? Su quali fondamenta edifichiamo i progetti della vita, le attese, i sogni? E la società, a che speranza collettiva attinge?

Attraversiamo tempi inquieti. La nostra modernità è liquida, ci diciamo da decenni: ciò che i nostri padri sentivano solido, noi lo sentiamo instabile sotto i nostri piedi. Siamo impegnati a imparare a camminare sulle acque. L’unica certezza è l'incertezza. Prima molte cose erano ben chiare: il mio lavoro sarebbe stato quello ereditato dalla mia famiglia, il mio luogo di nascita quello in cui avrei vissuto tutto l’arco degli anni sotto il cielo, e nell’attraversare la soglia della morte respiravo la certezza di una vita eterna. Oggi non sappiamo più.

È la casa che si scioglie?

Antonia Pozzi, la grande poetessa milanese, si toglie la vita a ventisei anni, nel 1938. Scelgo di affrontare il tema della speranza a partire dalla poesia di una giovane suicida. Perché? Perché la sua poesia attraversa il tema della speranza, anche quando sente che ce n'è poca. E perché anche ai suoi tempi forze autoritarie e violente sorgono per reagire ai fremiti di instabilità che stanno attraversando i giorni.

Gronda di neve disciolta
la casa. Trasale
l’anima al tonfo delle gocce fitte.
Così sfacendosi
dolorano le cose,
Ma lontano,
oltre i veli del sole e gli insicuri riflessi,
oltre il trascolorare delle ore,
vive un esiguo mondo
d’erba e di terra.
Radici
profonde nel grembo di un monte
a primavera votate
si celano.
E conosco
io sola
il nome di ogni fiore
che fiorirà,
la luce e il pezzo di zolla
in cui prima riappaia la tenera
esistenza delle foglie.
Radici
profonde nel grembo di un monte
conservano un sepolto segreto
di origini
è quello per cui io mi riapro
stelo
di pallide certezze.

(Antonia Pozzi, Radici)

La neve che si scioglie. L'impressione che tutta la casa si squagli. A proposito di quando abbiamo la sensazione che la Chiesa si sgretoli, e che sprofondi il mondo come l’abbiamo conosciuto. E allora trasale / l’anima al tonfo delle gocce fitte. Ci spaventiamo perché così sfacendosi dolorano le cose. C'è un senso di dolore per tutto questo nostro squagliarsi. Ma lontano… Dov'è questa lontananza? Magari Antonia sta pensando alla Grigna, di cui era innamorata, e alle montagne sopra Pasturo, dove la sua famiglia aveva una bella casa, in cui lei cercava rifugio. Ma forse è una lontananza interiore. Lontano dentro di me, oltre la superficie in subbuglio, vive un esiguo mondo / d’erba e di terra. È sotto la neve, è sotto il ghiaccio, ma è mio. Ci sono radici profonde in me, come nel grembo di un monte, destinate a primavera, destinate a fiorire. Sono nascoste lì. Adesso non le vedo, non le sento neanche più, perché in questo tempo sento soltanto la neve che si scioglie, mi sembra che tutto crolli, ma ci sono radici profonde dentro di me. C'è vita nel fondo, e io conosco quella vita, e ne ho fiducia.

Radici / profonde nel grembo di un monte / conservano un sepolto segreto / di origini. C'è qualcosa che rinasce dal fondo di me e che mi rende uno stelo / di pallide certezze.

Pallide, ma certezze. Che fine hanno fatto le mie radici? Quella parte profonda di me, vitale sotto la neve e il ghiaccio, più profonda della mia stessa percezione delle cose. Che cosa ne ho fatto?

Neppure il tempio

Questo senso di instabilità non è sconosciuto alle pagine evangeliche. Sulla soglia della solidissima struttura del Tempio di Gerusalemme (pietre di decine di tonnellate nelle fondamenta):

Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta». (Mc 13,1-2).

E via a raccontare di terremoti, pestilenze e carestie, di guerre e sconvolgimenti di ogni genere, e di profittatori e ingannatori che tenteranno di portare i popoli fuori strada. A proposito di tempi liquidi. Al punto che perfino le colonne del mondo, che reggono il firmamento del cielo, rovineranno in singhiozzi: il sole, la luna, le stelle.

E le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. (Mc 13,24-25)

Quello, dice Gesù, è l'inizio dei dolori. Ma chiaritevi bene che si tratta del travaglio di un parto, non dell’agonia di un corpo che muore. Si apre una nuova vita. Non è la fine di un mondo, ma la fine di un certo modo di stare al mondo. Sta nascendo qualcosa di nuovo, perché il Figlio dell'uomo è alle porte, e quando il Figlio dell'uomo è alle porte tutto ciò che non è in grado di crescere, di accoglierlo, crolla. Quello di Gesù è un discorso che vuole aprire alla speranza, alla fiducia. Il crollo del mondo vecchio è un effetto collaterale, ma l'annuncio è evangelico, è di Vangelo, di buona notizia. Il Figlio dell'uomo viene, la vita piena avanza. Chi di noi sente liquefarsi deve sapere che, quando i pilastri vacillano, è perché qualcosa di nuovo spinge per venire alla luce. O quantomeno, Gesù pare dare credito a questo. Nei miei tempi di crisi, radicarmi in questa consapevolezza mi ha molto aiutato.

Il giardino segreto

I romanzi di Frances H. Burnett hanno, all’inizio del secolo scorso, acceso l'immaginazione di ragazzi e ragazze. Era, anche questo, un modo per coltivare le proprie radici. La piccola Mary Lennox, la protagonista de Il giardino segreto, vive in India, figlia unica e viziata di una famiglia colonialista inglese. Rimasta improvvisamente orfana la piccola viene spedita in Inghilterra, affidata allo zio, che però non ha alcuna intenzione di curarsene. Anche perché è impegnato a sua volta a fare i conti con il suo dolore: ha perso l’amatissima moglie per un incidente in giardino. Il maledetto giardino, quella parte del parco che la donna aveva molto amato ma che è stato il luogo della sua tragica fine, è stato chiuso a chiave e dimenticato per dieci anni. La piccola Mary scopre il giardino segreto. Regaliamoci una pagina straordinaria: quella in cui Mary comincia a emergere dalla sua chiusa solitudine, per percepire il pulsare della vita tra quelle mura, che è anche la vita nel suo giardino interiore. C'è una connessione evidente tra ciò che Mary trova fuori di sé e ciò che sta maturando dentro di lei.

«Il sole continuò a splendere per quasi una settimana sul giardino segreto. Era così che lo chiamava Mary quando ci pensava. Le piaceva quel nome, e ancor di più le piaceva sapere che quando si trovava tra quelle belle vecchie mura nessuno sapeva dove fosse finita. […] I bulbi del giardino segreto dovevano essere stupefatti per questa novità. Aveva ripulito così bene il terreno attorno che adesso avevano tutto lo spazio necessario per respirare. Mary non poteva saperlo, ma i bulbi iniziavano sul serio a esserne contenti sotto la terra scura e stavano lavorando con assiduità. Finalmente il sole li raggiungeva e li scaldava, e quando pioveva l’acqua poteva arrivare subito sino a loro per farli sentire pieni di vita. […] Erano stati lasciati a sé stessi per ben dieci anni e forse si erano propagati a migliaia come i bucaneve. Si domandava quanto tempo ci sarebbe voluto prima che dimostrassero di essere sul serio dei fiori. Certe volte smetteva di vangare per ammirare il giardino e immaginare che aspetto avrebbe avuto quando sarebbe stato coperto da migliaia di piccole piante in fiore». (Frances H. Burnett, Il giardino segreto, Feltrinelli, Milano 2020, 80-81)

Il tempo della fioritura arriverà. Tra le mura del giardino nascosto, come nel cuore della piccola impegnata a esplorare i confini della sua interiorità, i bulbi stanno lavorando sottotraccia. Al fondo di ognuno di noi la vita sta lavorando. Se non è adesso il momento della fioritura, l'inverno non è però il tempo del nulla. È invece il tempo dell’impegno nascosto. Ci sono radici profonde - dice Antonia - dentro di me votate a primavera. Non è questo il tempo della mia primavera? ma dentro di me la vita viene avanti. Questo vuol dire speranza. La mia vita non dipende tutta solo da me, da quello che io decido, da quello che io faccio. C'è una parte profonda di me, di cui neanche io sono consapevole, e che sta lavorando. Si tratta di liberarla, come i bulbi dalle erbacce.

Deserto e giardino

Ci sono i tempi del deserto. Ci sentiamo sterili e inariditi. Avvertiamo che la vita si è fatta deserto. Il deserto piange perché vorrebbe tornare ad essere giardino. Quel pianto va ascoltato. Occorre farsene carico. La nostra vocazione profonda è di seminare e coltivare giardini, dentro di noi, attorno a noi. Nei tempi di aridità mi lascio aiutare da Etty Hillesum, ebrea olandese – anche lei morta giovane, assassinata dai nazisti – che nei suoi Diari ricorre all’immagine della sorgente interiore:

«Dentro di me c’è una sorgente molto profonda, e in quella sorgente c’è Dio. Alle volte riesco a raggiungerla, più spesso essa è sepolta sotto pietre e sabbia. Allora Dio è sepolto. Allora bisogna disseppellirlo di nuovo » (E. Hillesum, Diari).

Ecco, i tempi del deserto sono un’altra forma dell’inquietudine e dell’instabilità. Sono i giorni del dubbio rispetto alla vivibilità delle nostre giornate. La buona notizia è che quella sorgente di vita non dipende da me. Mi è data a prescindere, per il fatto stesso che sono al mondo. E spinge per scaturire dal fondo del mio vissuto. Il mio compito è di liberarla, perché scaturisca generosa, prorompa a fecondare la mia arsura di cuore. Che cosa sono quelle pietre e sabbia che mi occludono lo spirito? Che nome devo riconoscere loro, per poterci mettere davvero mano? Quell’acqua viva è come i bulbi nascosti nel giardino segreto: è vita che spinge per emergere, che mette in crisi il mio modo vecchio di stare al mondo, impegnata a smuovere il terreno dei miei irrigidimenti e della mia mancanza di speranza. Anche la morte di papa Francesco contribuisce al senso di disorientamento che ci abita. Il mondo si è fatto ancora più instabile. È stato un uomo dall’interiorità ampia e profonda, la sua compassione ci interpella come un testamento. A maggior ragione occorre che ci avventuriamo alla riscoperta della vita in noi, quella che freme, le radici in grembo ai monti, i bulbi del giardino segreto, l’acqua sorgiva che non si arrende al deserto.


Don Paolo Alliata è autore di numerosi testi in cui propone intrecci tra Bibbia e letteratura. L’ultimo, “L’amore trova il mondo - Scorci di colore sulla vita di Gesù”, è uscito da poco per San Paolo, con acquerelli di Nicola Magrin (pp. 256, euro 20).

Leggi tutti gli articoli della serie «In cosa speriamo»

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI