La speranza immensa (risorgeremo e vedremo)
sabato 4 febbraio 2017

Nelle ultime Udienze generali il Papa insegna la speranza cristiana. Mercoledì scorso ha parlato della comunità dei Tessalonicesi, fondata nella fede, con cui Paolo si rallegrava. La Resurrezione di Cristo per i Tessalonicesi era ancora memoria viva, e nessuno ne dubitava. Ma già l’ombra di un dubbio sorgeva in quella giovane cristianità: la difficoltà, ha spiegato il Papa, era credere che i morti risorgano. Già allora dunque, e pure nella certezza di Cristo vivo, l’impatto devastante della morte di una persona amata era tale che anche una fede viva poteva tremare.

Ogni volta, del resto, che ci troviamo di fronte alla nostra morte, o a quella di una persona cara, veniamo messi alla prova, dice Francesco. Quell’urto, il grido delle madri e dei padri e dei figli, continua nella storia, e ogni volta ne sorge una cocente domanda. Poi magari, quando il tempo mitiga le ferite – e non sempre ci riesce – la domanda si fa meno bruciante, ma resta latente.

Mio padre, mia madre, li rivedrò davvero? Quanti, anche cristiani, tremano nella certezza che pure vogliono avere, davanti alla immensità di questa promessa. Ai fratelli di Tessalonica, Paolo parlava della speranza della salvezza come di un «elmo». Immagine guerresca: un elmo di acciaio, che protegga da ogni freccia o colpo del nemico.

La speranza della salvezza, ha detto con nettezza papa Francesco, «è l’attesa di qualcosa che è stato già compiuto»; «è certezza che io sto in cammino verso qualcosa che c’è, non che io voglio che sia». E quanto è bella questa parola perentoria, quanto fa bene a chi, dentro al rumore e alla smemoratezza delle giornate, è toccato dal tarlo di quel dubbio antico: li rivedrò? Davvero? Non pare a volte impossibile, davanti a una lapide muta, trovare la certezza testimoniata dal Papa, e sentirsi addosso l’elmo di Paolo? Il fatto è, che bisogna imparare a sperare.

Francesco dice che bisogna imparare dalle donne incinte: quando una donna sa di esserlo, «impara a vivere nella attesa di vedere lo sguardo di quel bambino che verrà». Sperare, dunque, significa «vivere nell’attesa». Certi che incontreremo il volto di Cristo, e con Lui ritroveremo tutti coloro che abbiamo amato, come una gestante lo è di vedere gli occhi del figlio che ha nel ventre. Una sola cosa impedisce questa speranza, avverte Francesco: chi è già pieno di sé e dei suoi averi, non sa riporre la sua fiducia in nessun altro se non in se stesso. E anche questa è una provocazione, come di uno che ti porga uno specchio e ti dica: guardati. Guardati veramente. In che cosa speri? Non sei forse già sazio? Ma, ha confidato infine il Papa, c’è una parola «che a me riempie della sicurezza della speranza». Ancora Paolo, ai Tessalonicesi: «E così per sempre saremo con il Signore». Al che, sorridendo, benevolo ma insistente, ha domandato alla folla: «E così per sempre saremo con il Signore. Voi credete questo? Vi domando: voi credete questo?».

Credere che incontreremo lo sguardo di Cristo, così come una donna è certa di vedere quello del bambino che aspetta, di quel già e non ancora» che è in lei. Ci crediamo noi? Ci crediamo, davanti allo schiaffo della morte di chi ci è caro? Che grazia, che armatura sarebbe una tale incrollabile speranza – in questo mondo di fatica e di dolore, di cui leggiamo ogni mattina sui giornali. ©

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