Quindici anni, fine della giornata scolastica. In classe pochi amici, che forse non hanno avuto neanche il tempo di diventare amici dopo una conoscenza fatta attraverso lo schermo di un computer e un altoparlante che fatica a dare calore e ritmo alle parole. Una finestra, un salto. L’ennesima notizia di cronaca che ci colpisce senza che venga ricordata per più di un paio di giorni, anche se nello stesso tempo ce ne sarà una nuova, spesso identica. Ogni storia è diversa ma il comune denominatore è simile. Una fragilità che sempre più fa parte dei ragazzi che da un anno ormai non hanno più la scuola al loro fianco, nella ricerca di un equilibrio, nel confronto con gli altri, nella condivisione dei propri dubbi, dei propri limiti, dei propri pensieri.
Finalmente il ritorno in classe. La delusione di scoprire che l’unico obiettivo sia finire il programma e, finalmente, fare verifiche dove non si può copiare, dove valutare gli apprendimenti dimenticandosi che gli ingredienti essenziali per apprendere sono mancati per quasi un anno. Conoscenze, competenze, parole che invece di riempire il vuoto di questi mesi possono solo allontanare da una scuola che sembra non capire.
Continuiamo a leggere che ai ragazzi è mancata l’esperienza di vivere insieme, di stare con gli altri, di trovare la sicurezza di parlare di fronte agli amici, di trovare adulti di riferimento esterni all’ambiente domestico, di mostrarsi non solo 'virtualmente' ma nella loro piena fisicità, senza aver paura delle proprie debolezze. Debolezze che sono di tutti e per questo sopportabili. Ma invece la scuola esprime l’urgenza di riempire registri con voti attendibili. Non sono mancati in questi ultimi 12 mesi motivi per alimentare l’angoscia e l’ansia dei ragazzi e questa scuola trova terreno fertile per alimentare oltremodo l’insicurezza e la paura del fallimento. «Ma davvero avevo voglia di tornare a scuola? Forse era meglio stare a casa… forse la Dad non era poi così male» È vero che ai ragazzi è mancata la scuola, manca tuttora.
Manca come luogo privilegiato di socialità, di incontro, di scoperta, di stimoli per crescere, di aiuto per sviluppare l’autostima e la motivazione verso il futuro. Manca la relazione con i pari e con gli insegnanti. La valutazione fuori dalla relazione è un’arma pericolosa. La percentuale variabile di presenza a scuola indicata dal ministero si tramuta solo nella variabilità di rischio di sostenere prove di valutazione. Dopo un anno, la scuola ritorna ma fa solo paura, è l’istituzione che chiede di studiare e sapere nozioni, di recuperare un voto o un capitolo che non c’è stato il tempo di fare. Se la scuola fa questo, perderà molto di più del tempo della pandemia, perderà davvero qualcosa che i nostri ragazzi non potranno recuperare.
È importante, oggi, comprendere lo stato di benessere dei nostri figli, dei nostri giovani, o non li recupereremo.Viviamo nel tempo della competizione, dove il successo ricopre uno spazio più importante della vita stessa, degli affetti, delle esperienze. Prevenire questa tendenza può aiutare ad uscire da una sofferenza quotidiana e invisibile. Ritrovare la fiducia nella scuola, nella relazione, in un futuro possibile insieme agli altri e non da soli.
È facile capire quali sono gli obiettivi che oggi una scuola dovrebbe porsi. Sono gli stessi che cerchiamo noi adulti: la gioia di stare insieme, di condividere le emozioni con chi è al nostro fianco, di ritrovare il giusto equilibrio tra rischio e paura, tra fiducia nel futuro e prudenza del presente. Ritrovare la capacità di riconoscere le proprie capacità senza temere il giudizio altrui. Solo dopo ci potrà essere una valutazione. Non ora, non adesso, sicuramente non in questi mesi.
Prorettore dell’Università di Pavia, docente di Psicologia