La Scala: tra continuità e la scossa possibile
sabato 7 dicembre 2019

Ogni volta che in un teatro lirico cambia il sovrintendente (o il direttore musicale), si chiude un’era e se ne apre un’altra. È quanto accadrà fra pochi giorni al Teatro alla Scala di Milano dove Alexander Pereira, il manager austriaco che ha guidato la fondazione lirica per cinque anni, lascerà la plancia di comando e a lui subentrerà Dominique Meyer, accademico alsaziano, che arriva dalla Staatsoper di Vienna. Entrambi saranno in sala oggi 7 dicembre alla prima di Tosca che inaugura la stagione. E la loro presenza fra platea e palchi segnerà un ideale passaggio di testimone. Perché, almeno in teoria, i due non si incroceranno più. Meyer si insedierà a Milano a marzo quando terminerà l’incarico nella città degli Strauss.

Ma dal 15 dicembre Pereira inizierà la sua avventura al Maggio Musicale Fiorentino imponendo alla Scala un’insolita vacatio. Va detto che l’epilogo del Leiter austriaco, eccellente procacciatore di fondi, non sarà cavalleresco. Nonostante abbia regalato al pubblico come titoli finali della passata stagione due perle del calibro di Giulio Cesare di Händel e Die ägyptische Helena di Strauss, lascia il teatro come un marito tradito. E lo abbandona. «Vi devo salutare in anticipo. Ho un treno per Firenze», ha detto sorridendo durante la presentazione di Tosca nel Ridotto Toscanini. Il suo congedo arriva dopo la mancata riconferma lo scorso giugno. Aveva fatto di tutto Pereira per restare.

Però il consiglio d’amministrazione ha optato per l’avvicendamento, concedendogli comunque di poter essere al vertice del Piermarini per un altro anno e mezzo a fianco di Meyer. Invece Pereira non ha neppure atteso che il suo successore prendesse possesso dell’ufficio meneghino: se ne va dal tempio della lirica in anticipo, lasciandolo senza guida per oltre tre mesi. La scelta di Meyer è in certo modo nel segno della continuità. Ancora una volta il condottiero della Scala non è italiano. E non avrà al suo fianco un direttore artistico (benché il futuro massimo dirigente abbia già nominato un coordinatore artistico: il suo portavoce viennese, l’altoatesino André Comploi). È dal 2005, ossia dall’avvento del francese Stéphane Lissner, che il soprintendente parla straniero e assomma su di sé anche il ruolo di responsabile degli spettacoli. Una posizione di prestigio e accortezza, quest’ultima, che è stata fra gli altri di Victor de Sabata, Gianandrea Gavazzeni, Luciano Chailly (padre dell’attuale direttore musicale Riccardo), Claudio Abbado e Cesare Mazzonis. Anche Meyer la terrà per sé. E la nuova “età” del Piermarini – chiamiamola pure italo- franco-austriaca – si apre senza quel sussulto di novità che sarebbe stato auspicabile.

Già entrare nei gangli dell’articolata “macchina dei sogni”, qual è La Scala, è tutt’altro che agevole. Mille dipendenti. Sindacati forti e, per certi aspetti, combattivi che possono bloccare rappresentazioni o tournée. Una certa burocrazia tipica del nostro Paese. La legislazione niente affatto snella fra con-tratti, norme, disposizioni che da Roma cambiano in corso d’opera (anche lirica). Così chi non è originario della Penisola può avere qualche difficoltà in più a ingranare la marcia, soprattutto quando si tratta del governo di un apparato quasi elefantiaco. Pertanto la scelta di un direttore artistico, magari italiano, gioverebbe. Ed eviterebbe che, come può succedere in realtà complesse e ricche, si creino potentati o circoli viziosi. Allora possiamo chiudere gli occhi e cominciare a sognare. Se Pereira ha riportato alla Scala Riccardo Muti con la sua Chicago Symphony Orchestra dopo il burrascoso addio del 2005 e se Meyer annuncia già di volerlo di nuovo in buca per dirigere qualche capolavoro, perché non immaginarlo come direttore artistico? Del resto lo statuto del teatro prevede che sia scelto «tra professionisti di comprovata esperienza». Il Maestro napoletano, che del Piermarini è stato direttore musicale, ha tutti i requisiti. Con molta probabilità lui rifiuterebbe. Ma se si avesse il coraggio di chiederglielo e lui accettasse, per il più celebre teatro lirico italiano sarebbe davvero una rivoluzione.

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