mercoledì 27 luglio 2016
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«È stato un rivoluzionario », così ha detto recentemente papa Francesco riferendosi alla rinuncia al pontificato da parte di papa Ratzinger. E ha aggiunto: «La sua rinuncia rese palesi tutti i problemi della Chiesa. La sua rinuncia non ha avuto nulla a che fare con questioni personali. È stato un atto di governo. Il suo ultimo atto di governo».Si tratta di un giudizio storico, sintetico ma efficace e importante. In effetti (e lasciando da parte i 'precedenti storici', troppo lontani per servire da comparazione) quella di papa Ratzinger è stata una decisione – un atto di governo nella piena capacità di esercizio – che ha rivoluzionato le forme storiche del ministero petrino in un punto specifico: in sostanza ha allineato anche il pontificato alle esigenze di aggiornamento che il Concilio Vaticano II aveva già portato per l’episcopato. Il buon senso ci fa capire che le energie – fisiche e psichiche – necessarie al governo episcopale, giunti ad un’età avanzata, vengono meno. Pertanto, dopo il Concilio, vi è stata una modificazione notevole sul piano dell’esercizio del ministero episcopale: giunto a 75 anni d’età (un momento della vita in cui si può presumere che le forze per reggere una diocesi diminuiscano) il vescovo rassegna le sue dimissioni nelle mani del Papa. Ovviamente egli rimane vescovo per sempre, ma il Papa può decidere – valutando in coscienza – se nominarlo «vescovo emerito» e perciò chiedergli di abbandonare il governo della sua Chiesa diocesana o lasciarlo ancora alla guida di tale comunità per qualche tempo. Ed è proprio quanto comunemente avviene: tutti i vescovi si dimettono a 75 anni, ma non tutti diventano emeriti alla stessa età (dipende dalle decisioni del Papa). Così pure succede per i parroci, rispetto al vescovo. Sempre il buon senso ci fa capire che il Vescovo di Roma non è superman, non è diverso dagli altri vescovi, anche per lui – sul piano umano – le forze vengono meno. Quindi si può porre, in linea teorica, un momento in cui, per il bene della Chiesa, sia opportuno che egli rinunci all’esercizio del ministero petrino.Questa considerazione ragionevole è alla base della decisione di papa Ratzinger e riporta anche il papato in una forma 'razionale' (o, se vogliamo, razionale-carismatica) di potere. Ma come fare? Certo Benedetto XVI avrebbe potuto legiferare e stabilire, con un suo atto magisteriale formale, un’età in cui il Vescovo di Roma si deve ritirare (che sia 75 o 80 o altra età, non importa). Ma una tale decisione, apparentemente impeccabile sul piano giuridico, avrebbe in realtà potuto produrre molti problemi pratici, non essendoci (come nel caso dei vescovi) un’autorità superiore.Così se il Papa regnante, giunto all’età del ritiro, si fosse ritenuto ancora in grado di governare bene, cosa avrebbe dovuto fare? Lasciare comunque, anche contro la propria coscienza? Fare un altro atto magisteriale formale e modificare la normativa vigente per restare ancora? Ma ciò avrebbe creato un alone di sfiducia e di sospetto diffuso di illegittimità. Insomma una confusione grave alla testa della Chiesa cattolica. Papa Benedetto ha dato, al problema (reale) dell’aggiornamento anche nell’esercizio del ministero petrino, una soluzione rivoluzionaria e, insieme, impeccabile: non giuridicocanonica, ma spirituale; non di norme, ma di coscienza; non legalisticamente esteriore, ma responsabilmente interiore.Da ora in poi, infatti, cioè da papa Francesco a tutti i suoi successori, ogni Successore di Pietro dovrà chiedersi – non a un’età data, ma in ogni momento – sono io, ora, in condizioni complessive migliori di papa Ratzinger al momento della sua rinuncia? Benedetto XVI ha cioè posto in qualche modo se stesso come misura: quando i papi, suoi successori, sentiranno, in coscienza, di essere giunti a quello stesso 'limite', allora sentiranno pure, in coscienza, il dovere di rinunciare. E cosa verrà dopo? Cosa avviene ora per il vescovo emerito di Roma? Non sarà più il Papa della Chiesa cattolica romana. Ma non per questo la sua vita non avrà più 'senso'. Il senso profondo è quello più grande di ogni ministero ed è lo stesso per tutti i battezzati, che siano il Papa o semplici fedeli: diventare santi.Oggi abbiamo un solo Papa, Francesco, alla guida della barca di Pietro: un solo Papa a capo della Chiesa cattolica. Ma la figura, sempre più asceticamente diafana, di Ratzinger ci ricorda – e anche questa sottolineatura è molto conciliare – che il più importante, nella Chiesa, non è chi diventa Papa, ma chi diventa Santo. E il Papa stesso è a servizio della Chiesa per guidare i fedeli sulla via della santità. E il Papa stesso, come battezzato, cammina egli stesso sulla medesima via: dove altri e altre possono essere più avanti di lui. In questo modo la Chiesa non è un totalitarismo o una monarchia assoluta, ma il Popolo Santo di Dio, comunità di santi e peccatori: essa stessa peccatrice ma in stato di perenne riforma, verso la santità. Ecco la rivoluzione cristiana: la rivoluzione evangelica della santità.
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